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L'occhio del male
 
L'occhio del male 2015-09-02 14:34:36 Bruno Izzo
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5.0
Bruno Izzo Opinione inserita da Bruno Izzo    02 Settembre, 2015
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Il sentimento della giustizia

ATTENZIONE: CONTIENE SPOILER

Stephen King ha scritto libri che hanno venduto milioni di copie, tradotti in tutte le lingue, dai suoi romanzi sono stati tratti film diretti dai grandi della regia, conta milioni di appassionati in tutto il mondo che ne hanno decretato, giustamente, il successo di pubblico e di critica; la sua firma, quindi, garantisce da sola ingenti profitti librari ed enorme richiamo cinematografico.
Eppure, per un certo periodo, essenzialmente per motivi contrattuali, King ha pubblicato alcuni suoi romanzi celandosi dietro uno pseudonimo, quello di Richard Bachman.
Tra questi “L'occhio del male”, che parecchi considerano forse il meno riuscito dei libri di King a firma Bachman.
Tuttavia, anche se fosse, “L'occhio del male” è in ogni caso un libro importante della bibliografia kinghiana, è un romanzo in ogni caso utile per approfondire la conoscenza dello scrittore del Maine.
Perché uno scrittore, qualunque scrittore, profonde sempre parte di sé nelle sue opere, ciascun romanzo parla, a saperlo leggere, anche del suo autore.
Ce ne indica il talento, certo, e l'attività più o meno abile di pensare storie, immaginarle, rimaneggiarle, e sopratutto riversarle sulla carta in maniera gradevole ed intelligibile ad un tempo. Se ne fa arte, quindi, e come tale indica un messaggio, un pensiero; ma contemporaneamente riflette anche l'essenza di chi scrive, e ne rivela perciò gusti e preferenze, simpatie ed idiosincrasie.
Lo diceva già Gustave Flaubert, allorché, riferendosi al suo romanzo "Madame Bovary", esclamava: "Madame Bovary sono io!", intendendo con ciò che quando si scrive ci si rivela, non è possibile altrimenti, perché ognuno scrive in maniera diversa, scrivere è un segno caratteristico, un po' come le impronte digitali, perciò s'inventa, si mente, si falsifica, ma lo si fa scrivendo ciascuno a suo modo, ed ogni modo è rivelatore di qualcosa che appartiene esclusivamente all'animo di chi scrive.
Ebbene, “L'occhio del male” ci rivela, in sintesi, come la pensa King a proposito, per esempio, della giustizia in America, del modo, assai parziale, di com'è amministrata la giustizia negli Stati Uniti.
Il libro rivela lo sdegno dello scrittore, giacché il suo animo e la sua sensibilità sono pervase da un sentimento sinceramente democratico, che lo spinge, a modo suo, con i mezzi e gli archetipi di tipo orrorifico che utilizza normalmente per la sua letteratura, a dar luogo, sulla guisa di un thriller alla John Grisham ante litteram, alla critica del sistema giudiziario statunitense, e in un respiro più ampio, alla critica di tutto un modo d'essere e di agire di gran parte dell'opulenta borghesia americana.
Come solito del costume yankee, il sentimento della giustizia americano è pesantemente di tipo classista, per questo la legge è uguale e garantista per tutti, in particolar modo per i bianchi, anglosassoni e protestanti, professionisti impegnati e ben forniti di dollari, e la stessa legge è un po' meno uguale e molto punitiva nei confronti dei neri, delle minoranze, dei poveri, ed è infine cinicamente indifferente nei confronti dei moderni paria della società, dei diversi, degli emarginati, crudelmente segnati a dito come possono essere, per esempio, gli zingari.
King indica in questo libro il suo pensiero politico, dunque, svela le sue scelte democratiche, si schiera apertamente contro un modo ingiusto di considerare le persone.
William Halleck, protagonista del romanzo, è il prototipo del benpensante ricco, professionista affermato, colonna della piccola comunità in cui vive, una persona rispettabile e cristallina, un paladino della giustizia con la maiuscola, si tratta, infatti, di un brillante avvocato.
Felicemente, almeno all'apparenza, coniugato con Heidi, padre esemplare della piccola Linda, insomma un uomo indicato come raro esempio di virtù e di affidabilità. Soffre della malattia tipica dei paesi opulenti, l'obesità: pesa, infatti, oltre 110 chilogrammi, mal portati, ma è un particolare trascurabile in confronto a tutte le sue doti, in fondo alla moglie piace così com'è.
Tanto che gli piace, che i due decidono per un rapporto sessuale un po' trasgressivo, in realtà più stupido ed incosciente che sopra le righe: viene, infatti, consumato nel momento che Halleck è alla guida della sua autovettura.
L’inevitabile distrazione che ne consegue trasforma la stupida leggerezza in una tragedia annunciata, giacché l'affermato avvocato tira sotto le ruote una donna uccidendola.
Giustizia vorrebbe che venisse, se non arrestato, senz'altro processato per omicidio colposo, data la sua lampante responsabilità.
Sennonché, l'avvocato William "Billy" Halleck è uno dei membri più importanti ed in vista della comunità; non solo, ma il particolare che fa pendere, concretamente ed altrettanto ingiustamente, il piatto della bilancia in suo favore, è che la vittima è una miserabile zingara.
Uno di quei diversi brutti, sporchi e cattivi; e la parte lesa è rappresentata dai parenti suoi simili, un gruppo di nomadi additati sempre con sospetto, nell'immaginario collettivo sempre dediti al furto, all'accattonaggio, al rapimento dei bambini, anziché essere considerati, per una volta almeno, esponenti d'etnia e cultura diversa.
E in ogni modo meritevoli di un trattamento equo e paritario da parte di una giustizia che dovrebbe garantire, a maggior ragione, i più deboli ed indifesi.
Ma tutta la comunità non desidera altro che vederli sloggiare al più presto, nel suo bagaglio termini come giustizia e tolleranza sono dedicati solo a chi conta; e l'omicidio commesso da Halleck diventa poco più che un incidente, spiacevole, forse, ma nulla che possa macchiare l'integrità morale dell'illustre concittadino, mandato completamente assolto dalle autorità del posto, giudice e polizia, buoni amici, tra l'altro, del presunto innocente.
Halleck è salvo, dunque, e tranquillo: mal gliene incoglie, poiché un vecchio zingaro gli lancia addosso un'antica maledizione: “…dimagra…”.
Comincia per Billy un vero incubo, dapprima avvertito solo come una sorta di disagio e poi come un'angoscia via via sempre più pressante, scandito nei tempi e nelle ansie dall'inarrestabile indietreggiare dell'ago di una bilancia, in un drammatico e particolare conto alla rovescia.
Billy, infatti, comincia a perdere peso, dapprima lentamente, e poi sempre più velocemente, in un'inarrestabile consunzione, scandita dai buchi supplementari, applicati lentamente ma inesorabilmente, alla sua cintura, e tale tragicomico progredire della fila di fori nel cuoio rappresenta la sua condanna e la sua punizione. In principio, egli crede di essersi buscato "solamente" il male del secolo; ma dopo visite mediche, e dopo una breve indagine che lo porta a scoprire come anche i corresponsabili dell'ingiusta assoluzione sono stati colpiti da analoghe orrende metamorfosi, il giudice, infatti, si sta ricoprendo gradualmente di squame ed il poliziotto sta letteralmente marcendo, egli si convince definitivamente di essere stato effettivamente colpito da un'irrazionale, ma non per questo meno efficace, maledizione gitana.
Sono queste le pagine meglio riuscite del libro; qui troviamo per esempio l'abilità descrittiva che ha reso famosa la prosa di King nell'accurato ritratto che egli fa del luminare della scienza medica il quale, dopo tutti gli esami e le analisi a cui ha sottoposto il suo paziente, non riuscendo in alcun modo a spiegare razionalmente il drammatico calo di peso, se n'esce con una dotta e fumosa dissertazione sui misteri del metabolismo o sugli ancora ignoti meccanismi d'azione di una banale medicina come l'aspirina, una logorrea e prosopopea tipica dell'arrogante classe medica quando vede minato il proprio carisma di demiurgo.
Ancora, particolarmente indicative sono le pagine in cui King descrive, e molto bene, tutti i rituali, le strategie, le pecche delle persone obese: per esempio, il fatto di pesarsi senza monetine nelle tasche, meglio ancora senza i vestiti, con intestino svuotato, nel disperato tentativo di rientrare in uno spettro di peso dignitoso; le giustificazioni alla guisa di "grasso è bello" che gli obesi s’inventano mentendo a se stessi, l'impaccio con il quale si è costretti a muoversi sentendo un peso che tira la cintura; sono pagine che ci danno precise indicazioni di come King senta perfettamente il problema, sa benissimo di cosa sta parlando, ed egli stesso ha o ha avuto problemi con il giro vita.
Per cui il "dimagra" del vecchio zingaro ha un sapore beffardo: da un lato crea angoscia ed un crescendo di tensione, dall'altro crea un'inconscia soddisfazione in chi, finalmente, rientra in uno jeans attillato. Ed è un modo di fare giustizia che non crea scandalo, dà quasi l'idea di una giustizia superiore, molto più equa e solidale di quella degli uomini, ed alla quale non è possibile sottrarsi.
Fa scandalo invece il modo con cui Billy reagisce a quella che egli, paradossalmente, ritiene un'ingiustizia; l'avvocato tutto di un pezzo, rispettoso delle regole, non esita a rivelarsi nella sua vera abietta ed egoistica essenza, non si fa scrupolo di usare i mezzi illegali, appannaggio dei clienti che era uso difendere in tribunale, pur di ripristinare il suo assai discutibile diritto, quello di continuare a vivere dopo aver privato di una vita un altro essere umano suo pari, che lo voglia o no, senza nemmeno rendersi conto che la sua miserabile esistenza non è, a questo punto, più degna e di valore di quella della sua sfortunata vittima.
E ricorre ai servizi del gangster Ginelli, e con i mezzi tipici delle intimidazioni mafiose, ottiene dal vecchio stregone magiaro non il ritiro della maledizione, cosa impossibile, poiché questo rito una volta avviato non può essere fermato, ma la sua deviazione su un bersaglio diverso.
E la maledizione è così rinchiusa in un dolce casalingo, ed il cinico Billy decide di destinarlo alla moglie, e già s'immagina una nuova vita, un nuovo futuro, con tanti ingombranti chili in meno, con una moglie altrettanto ingombrante fuori dei piedi, in compagnia dell'adorata figlia, l'unica persona per cui Billy nutra veramente amore, l'unica per cui ha sentimenti umani, gli unici che gli sono rimasti.
Il finale è uno dei migliori mai scritti da King, a cui la maggioranza dei critici rimprovera una certa piattezza nelle pagine finali dei suoi romanzi.
Ancora una volta, interviene un alto sentimento della giustizia, una giustizia vera, democratica, equa ed imparziale, che ha nome destino, caso, coincidenza, Dio o semplicemente Giustizia, con la maiuscola. Perché ad assaggiare il dolce fatale non è solo la moglie, ma anche l’adorata figlia; e Billy, di fronte all'irreparabile, affronta finalmente il proprio destino senza più fuggire, accetta di pagare il fio delle proprie colpe, con un ultimo gesto catartico e di redenzione, si assume scientemente la propria responsabilità e sceglie di restare fino all'ultimo accanto alla propria famiglia, servendosi l'ultima fetta di dolce.
“L’occhio del male” è quindi, per tanti versi, un libro che ci dice molto di Stephen King, non ultimo il suo amore per la famiglia, indirettamente enfatizzato nella scelta finale del protagonista.
Ma il mondo interiore di King è ricco d'altri aspetti, d'altre cose che desidera condividere tramite le pagine dei suoi libri, cose più magiche e spesso legate ai ricordi della propria giovinezza; e di lì a poco dopo la pubblicazione di questo romanzo, lo scrittore del Maine lo farà più compiutamente nelle opere della sua piena e raggiunta maturità.

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