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DELITTO MA ANCHE CASTIGO
Ingredienti: prendete dalla libreria “Delitto e castigo” di Dostoevskij, combinatelo con “Il processo” di Kafka, spruzzate una dose di “1984” di Orwell ed otterrete questo romanzo di Simenon. La storia infatti presenta diverse similitudini con quelle dei tre grandi autori prima citati, in quanto prevede innanzitutto la macchinazione di un delitto, come in Dostoevskij, descrive gli incomprensibili meandri della giustizia e della burocrazia di Kafkiana memoria ed allo stesso tempo, infine, ci ricorda un sistema di polizia segreta, di tortura e detenzione carceraria contenuto nella splendida opera di Orwell.
Questa volta Simenon decide di ambientare la storia in un imprecisato paese dell'Europa centrale occupato da truppe straniere. Si capisce che c'è la guerra, la popolazione soffre la fame, è freddo, nevica e soffre in silenzio. In questa location si muove Frank, giovane ragazzo di strada, che cerca di farsi largo ed ottenere rispetto e considerazione iniziando a compiere attività criminali. Omicidio, furto, frequentazioni sbagliate e pericolose, ben presto però porteranno Frank lungo una strada senza uscita, verso la cattura e la successiva detenzione.
Il romanzo è stato scritto durante il periodo americano di Simenon, e molto chiaramente lo scrittore belga nel descrivere i metodi utilizzati dai funzionari dell'esercito occupante, intende riferirsi alle atrocità compiute dai governi totalitari dell'epoca. A mio avviso più che al Nazismo, Simenon pensa a Stalin ed alla dittatura Sovietica. L'impiego di spie e di delatori, le improvvise sparizioni di persone, gli interrogatori asfissianti ai prigionieri prelevati dalle loro celle in qualsiasi orario del giorno e della notte, l'isolamento continuo, le minacce nemmeno tanto velate di punizioni corporali, ricordano sicuramente i metodi del Kgb o perché no anche quelli della Stasi della fu Germania Est.
Ho trovato piuttosto efficaci e significative le pagine in cui Frank, nelle mani del nemico, prende progressivamente coscienza del proprio stato, della mancanza di libertà e della disperazione causata dalla prigionia e dall'isolamento. Sono proprio queste le pagine più simili a Kafka ed a Dostoevskij, perché assistiamo ad interrogatori sulla falsa riga di quelli subiti da Raskolnikov e notiamo anche l'agire di una burocrazia incomprensibile rappresentata da funzionari che si muovono da una stanza all'altra freneticamente. Invece a mio avviso, risulta meno interessante e memorabile la parte precedente, nella quale Simenon descrive appunto le peripezie da “piccolo gangster” del suo giovane protagonista. In ogni caso l'ho trovato, nel complesso, uno dei migliori romanzi di Simenon, tanto dal punto di vista dell'analisi introspettiva quanto per l'efficacia nella denuncia dei crimini compiuti dalle dittature.