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quando è avvenuto "Il ritorno del Re"
La domanda sorge spontanea: ha fatto bene Stephen King, il Re del Brivido, colui che ha creato storie e personaggi indelebili nel mondo della letteratura horror, e che aveva promesso di non tornare più a scrivere, ad uscirsene con questo nuovo romanzo?
Negli ultimi anni lo abbiamo visto scrivere sotto lo pseudonimo di Bachman, ce lo siamo ritrovato a fare una rapida escursione fuori dal suo genere letterario con Colorado Kid, e ci siamo sorbiti quei numerosi mattoni a comporre la saga della Torre Nera, ma mai lo abbiamo visto tornare al suo vecchio amore. E l’attesa per l’uscita di Cell non poteva altro che suscitare curiosità e timore sia nei fans che nei detrattori.
E un King sostanzialmente diverso quello di Cell, uno scrittore che mostra tutta la sua maturità stilistica e nella narrazione e nella descrizione dei personaggi e dei luoghi. Non che non se la cavasse prima, ma qui riesce benissimo a farti vedere i protagonisti quasi ti stesse mettendo sotto il naso una serie di fotografie o di fotogrammi televisivi, annullando totalmente lo spazio di fantasia del lettore e facendo si che si occupi a pieno regime di preoccuparsi a fantasticare sulla storia.
All’inizio Cell appare come un vero libro alla King, quasi in vecchio stile, con un forte richiamo a L’ombra dello scorpione. Se allora era un virus a decimare la popolazione umana, oggi la causa sono i cellulari e qui l’autore, con la sua scrittura decisa e sarcastica si scaglia contro le continue innovazioni tecnologiche che tendono ad annientare la mente umana. La grossa differenza sta nella rapidità in cui questo male si diffonde. Tutto accade in un preciso istante. Tutti i cellulari del mondo squillano contemporaneamente e tutti coloro che rispondono vengono riformattati. In un attimo l’intera civiltà umana viene annientata e sostituita da una massa di umani privi della ragione, allo stato primitivo: uomini e donne che pensano solo alla propria sopravvivenza. L’incredibile devastazione che si scatena in quell’istante a Chicago è certamente una delle scene più violente mai descritte dal Re, e ci sono morti e sangue a volontà. Da lì in poi i protagonisti si trovano in un mondo desolato che per certi tratti sembra ricalcare le atmosfere di Desperation, dei Vendicatori e di Insomnia, ma risultano evidenti forti richiami a Richard Matheson e Gorge Romero, a cui King dedica il libro. In pratica vengono rianalizzate le figure dei loro zombi e vampiri.
Altra cosa che viene alla luce è una crescente analisi critica della società odierna dell’era post 11 settembre, descritta da King con una sottile ironia e una profonda analisi dell’uomo moderno. Siamo sicuri che in fondo l’uomo sia buono? Sembra chiedersi l’autore.
Ma King fa qualcosa di più. Diversamente dal solito non ci svela cosa sia successo. Non ci offre motivazioni, e nemmeno soluzioni. Come nella maggior parte dei casi della vita ci sbatte il problema sotto il naso e ci dice: “risolvitelo da te.” Così facendo si rifà pure a Lovecraft, lasciando che la paura per l’ignoto si tramuti in orrore.
Certo è che tra tutti i libri che mi sono letto del Re, in Cell, lo scrittore sembra voler far capire che l’inchiostro della sua penna non si è esaurito, come molti hanno affermato. Forse, proprio per questo motivo, King, utilizza elementi cari alla letteratura americana rimodellandoli a suo piacimento e riadattandoli al suo stile, e forse è lo stesso motivo per cui ci ha lasciato questo romanzo che, più di tutti gli altri, ti fa pensare e ti lascia interdetto nel finale. Ma è meglio che mi fermi qui ragazzi, altrimenti rischierei di entrare troppo nel dettaglio e non vorrei rovinare la trama a chi è intenzionato a cimentarsi nella lettura di Cell.
Un ultima cosa: sicuramente Cell è un libro che divide. Non è detto che piaccia o che non piaccia. A me non è dispiaciuto, ma certamente non aspettatevi il King dei tempi migliori. Diciamo solo che è uno scrittore in piena evoluzione e che pare lasciare aperta una porta di speranza verso le sue prossime opere, Lisey’s Story prima fra tutte.