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L’umanità di Maigret
Che un sospettato si uccida davanti a un poliziotto non è certo caso frequente, ma che poi questo tutore dell’ordine sia il commissario Maigret è del tutto insolito e potrebbe apparire anche improbabile se non fosse per il fatto che i due sono divisi da una parete fra due camere di uno squallido albergo e che il suicida ignora di essere sorvegliato. Che cosa abbia spinto il commissario a seguire quell’uomo mal vestito, quasi uno straccione è presto detto: l’istinto, poiché nulla sapeva prima di incontrarlo il nostro Maigret e altrettanto niente sa una volta intervenuta la sua morte. E’ forse inutile che dica che piano piano sarà fatta luce su quest’uomo il cui suicidio è avvenuto per uno scambio di valigie a cui ha provveduto personalmente il commissario.
Per quanto non ci sia un delitto, è sempre il grande fiuto che ispira Maigret e che lo porta a sapere dapprima chi sia veramente il suicida e infine a comprendere il motivo del suo gesto, dietro il quale si cela un omicidio compiuto diversi anni prima, non tanto da lui, ma da un altro.
Le indagini dapprima brancolano nel buio, poi, poco a poco, mettono in luce un’allucinante verità: fra omicida e compici c’era solo uno stato di esaltazione giovanile che ha condotto a quell’orrendo crimine che li segnerà per tutta la vita, presi da un rimorso che non si può sanare, accompagnandoli per il resto dei loro giorni. E qui si nota la straordinaria umanità di Maigret che, anche consapevole del fatto che la prescrizione per quel delitto è imminente, chiude il caso senza procedere ad arresti, anzi meglio ancora non apre neppure il caso.
Si presenta così uno dei gialli più complessi scritti da Simenon, in cui l’analisi psicologica dei protagonisti raggiunge livelli assai elevati, portandoci a conoscere quanto l’illusione giovanile di poter mettere le mani sul mondo possa essere un concreto pericolo ln cui tutti, a quell’età, possono cadere, quasi un monito affinchè si abbia sempre un limite invalicabile in tutto ciò che si intende provare e il disporre della vita altrui rappresenta quindi un confine da non oltrepassare mai. Hanno pagato e stanno pagando e benché abbiano quasi tutti raggiunto una rispettabile posizione borghese, dietro quella crosta di uomini sicuri e in carriera si cela un dolore che li corrode.
L’impiccato di Saint-Pholien è uno di quei romanzi che debbono essere letti almeno un paio di volte per apprezzarne le sottili sfumature, per immergersi completamente in un’atmosfera che riesce a rendere partecipi, per chiudere ancora una volta l’ultima pagina consapevoli che l’abilità artistica di Simenon è qualche cosa di incredibile.