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Revival
Insomma, sia detto una volta per tutte: l’implacabile ritmo di un romanzo ogni sei mesi – per non parlare poi di altre scribacchiature varie ed eventuali – è troppo anche per un iperprolifico come il Re, oltretutto ormai da un po’, forse inevitabilmente, oltre la collina. Pubblicasse di meno e mettesse mano con maggior lena alla lima, lo scrittore del Maine sarebbe riuscito a mantenere appieno le promesse evocate dalla lettura dei primi capitoli di ‘Revival’ che sono una sorta di quintessenza kinghiana: i primi anni Sessanta, un bambino che inizia a uscire dall’infanzia, una piccola comunità raccontata come se la colonna sonora fosse sempre Small Town di John Mellencamp, il racconto che procede lento e avvolgente nonché ricco di personaggi con cui è facile empatizzare così da rendere più doloroso l’irrompere della tragedia. Non si fa a tempo a rallegrarsi meditando sul fatto che il titolo possa riferirsi anche a un ritorno dell’autore agli splendori passati che, tra un salto temporale e l’altro, la qualità comincia ad andare in altalena; interessante e duro in maniera inattesa il parallelo tra religione e imbonitori, ma anche una storia d’amore tra l’inutile e l’insulso nonché l’ennesima espiazione personale nella rappresentazione di una dipendenza, da droga questa volta. Malgrado i passaggi a vuoto, King sa comunque come costringere il lettore a voltare le pagine, narrando il lento evolvere di una passione che si trasforma in mania per sfociare infine nella pazzia, ma senza ignorare l’opzione che il tutto sia il parto di una mente malata, come potrebbe suggerire una conclusione parecchio sinistra: un horror psicologico che confina gli effettacci in pratica in un solo capitolo – davvero debole, tra l’altro, ma non è una novità (e per non parlare delle formiche…) – giustificando la dedica a scrittori come Lovecraft o Block. L’incontro tra il piccolo Jamie e il reverendo Jacobs mostra segni poco simpatici anche nei giorni migliori, figurarsi quando il secondo si allontana dal pulpito dopo i lutti familiari e il primo cresce come chitarrista ritmico di seconda o terza fila ben presto nelle spire dell’eroina: la fissazione di Jacobs è l’elettricità e con quella, quando le loro strade per caso si incrociano di nuovo, libera Jamie dalla schiavitù chimica grazie a un potere di guarigione esercitato prima nelle fiere e poi da predicatore televisivo che però è causa di pericolosi effetti collaterali (perché, ovviamente, c’è sempre un prezzo da pagare). Il rapporto tra i due personaggi diventa così sempre più stretto malgrado il prendersi e lasciarsi nel corso degli anni - attraverso svolte che non è bene raccontare – fino a un estremo in cui la follia di uno è aiutata dalla curiosità dell’altro. Sforbiciando qua e là, il risultato sarebbe stato di certo migliore perché le sezioni che sanno emozionare e coinvolgere sono in larga maggioranza, ma ormai King è questo e – per quanto i miracoli siano sempre possibili – difficilmente ci darà un altro libro all’altezza dei suoi migliori: teniamoci comunque stretta la sua capacità di trascinare con forza il lettore nei suoi mondi immaginari resi ancora più inquietanti dalla profonda immersione nella realtà quotidiana e pazienza se ogni tanto tocca sorvolare su qualche capitolo che poteva essere cestinato con tranquillità. Insomma, un po’ come uno dei protagonisti secondari di ‘Revival’, ovvero quel rock ‘n’ roll che sa essere irresistibile anche se ‘tutta quella merda inizia in Mi'.