Dettagli Recensione
Letture sotto l'ombrellone
La popolazione del nostro pianeta è in continuo aumento.
La Terra conta miliardi di abitanti, e il loro numero è destinato a crescere, sia per l’aumento demografico in sé, sia per i progressi della scienza medica, che allungano i tempi di vita, rendendo le persone più longeve.
Se qualche organismo, mettiamo il caso l’Organizzazione mondiale della Sanità, si preoccupa di arginare l’aumento demografico, specie nei paesi più poveri, dando il via ad intense campagne di diffusione di elementari, comuni nozioni di contraccezione, con la distribuzione gratuita di profilattici, ecco che paradossalmente altre istituzioni come la Chiesa Cattolica, al contrario, lanciano i propri anatemi verso tali metodiche o analoghe volte al controllo dei nuovi nati.
Tutti questi miliardi di persone interagiscono con il loro biosistema: vale a dire essi consumano le risorse del pianeta per la loro sopravvivenza. Queste risorse non sono inesauribili o rinnovabili oltre certi limiti: la diminuzione delle riserve alimentari, la difficoltà di reperimento dell’acqua pura, l’erosione delle coste, l’inquinamento, il cambiamento del clima, il buco dell’ozono, tutto fa pensare che quanto prima l’intero sistema potrebbe implodere.
Quanto detto non è una novità, già Malthus lo aveva previsto: la popolazione tende a crescere in progressione geometrica, quindi più velocemente della disponibilità di alimenti, che crescono invece in progressione aritmetica.
Ne consegue uno scenario apocalittico, un vero e proprio inferno sulla terra; e poiché tutto quest’idea iniziale dà forma ad un romanzo ambientato per la maggior parte a Firenze, questa idea dell’inferno non può non richiamare il capolavoro di Dante Alighieri, la “Divina Commedia”.
In estrema sintesi, questo è il filo conduttore dell’ultimo romanzo di Dan Brown, “Inferno”.
Non un cattivo romanzo, anzi io lo considero tra i migliori tra quelli che hanno come protagonista il professore universitario Robert Langdon, noto personaggio creato da Brown e presente nei fortunatissimi romanzi “Il Codice da Vinci” e “Angeli e Demoni”.
Brown su quel concetto iniziale cui abbiamo appena accennato ha scritto un ennesimo best seller, un romanzo che descrive una vera e propria caccia al tesoro, una caccia frenetica, turbolenta, spesso ingannevole, un tutti contro tutti che si snoda per i percorsi artistici di Firenze prima, toccando poi anche Venezia ed Istanbul.
Sennonché Brown ha il vizio di favoleggiare, di correre senza fermarsi a rifinire, correggere, smussare i punti più difficili da accettare.
Brown come nei suoi romanzi precedenti tende a creare situazioni davvero molto inverosimili, a tirare un po’ troppo per i capelli certe tesi, insomma non riesce a creare in pieno quell’atmosfera di sospensione della credulità che è indispensabile in un romanzo che mescola fantasia e realtà, che certo riesce a vendersi bene per la suspense, i colpi di scena, il ritmo frenetico, ma gli manca un qualcosa, gli difetta la qualità della verosimiglianza, non guasterebbe un buon lavoro di rifinitura, eliminando grossolani errori e scene inverosimili.
Se ogni scrittore mette del suo in qualcuno dei suoi personaggi, ebbene Brown somiglia al Rettore, un tizio che in “Inferno” dichiara candidamente: “Io mi guadagno da vivere con l’inganno, la menzogna, la disinformazione, la mistificazione”, e il rettore sa bene che una bugia, per apparire credibile, è preferibile sia un misto di vero e falso.
Solo che in Brown questa miscela non è mai giusta, ben dosata, a volte eccede, in un verso o nell’altro. Manca un pizzico di qualcosa, proprio quel pizzico che rende gradevole il tutto.
Un libro da leggere? Tutto sommato direi di sì: è una lettura non troppo impegnativa, una lettura da vacanza, un libro sotto l’ombrellone.
Ed ha un merito, almeno a me ha fatto questa gradevole impressione: mi ha fatto venire voglia di rivedere Firenze ed i suoi tesori d’arte, luoghi principali del libro e opere citate.
Ponte Vecchio, il Duomo, il Corridoio di Vasari, l’Inferno di Botticelli, il Battistero…per un romanzo non è un merito da poco.