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In questo mondo di ladri...
Va detto subito: il romanzo di Fuminori Nakamura non ha niente in comune con quello di KK (Kenzo Kitakata) se non il titolo 'Tokyo Noir'... ed aggiungerei purtroppo, in quanto uno dei motivi che mi ha indotto a scegliere il romanzo di Fuminori è stato proprio aver apprezzato moltissimo il romanzo omonimo sperando che fosse, come quello, un capolavoro del genere noir nipponico, considerato anche quanto osannato nei vari commenti autorevoli riportati in copertina e come i premi di rilievo ricevuti in patria e all'estero lasciano ipotizzare.
Ma se Kitakata non ha deluso affatto le mie aspettative col suo romanzo che incanta e violenta il lettore allo stesso tempo, non posso affermare altrettanto di Fuminori.
Alcuni hanno definito questo romanzo un 'noir filosofico', definizione che condivido a metà nel senso che c'è molta filosofia e poco noir, se per noir intendiamo quel filone (meglio conosciuto come 'hard-boiled') del genere poliziesco che punta ad una più efficace costruzione della suspence, indugiando ed enfatizzando dettagli anche cruenti ed erotici, a discapito dell'indagine investigativa vera e propria.
Non sarebbe corretto affermare che queste caratteristiche siano del tutto assenti nel romanzo di Fuminori ma sembrano note stonate, non perfettamente in sintonia col resto della storia: un esempio per tutti, la descrizione direi quasi asettica e distaccata di un'orgia che si concretizza dinanzi agli occhi attoniti del protagonista nel salone di un locale e che si percepisce come 'estranea' alla vicenda, quasi fosse un obbligo per l'autore inserirla; risulta, infatti, del tutto inutile nello sviluppo della trama e se lo scopo dell'autore, l'unico che posso immaginare, è stato quello di voler assimilare quel salone ad una sorta di bolgia infernale, quasi come anticamera prima dell'incontro col diabolico Kizaki, il risultato è comunque poco soddisfacente, offrendo più l'idea di un set per un film pornografico.
In quest'ottica trovo la scelta del titolo (della versione italiana) 'Tokyo noir' dettata da esigenze di mercato più che da una reale assonanza con la storia raccontata; molto più efficace il titolo 'Thief' della versione inglese, traduzione 'letterale' del titolo originale 'Suri' (ladro).
Per la semplice ragione che il romanzo ha come protagonista un ladro, Nishimura, un vero professionista nel suo settore, un Arsenio Lupin di strada, un borseggiatore che adocchia le sue possibili prede tra la folla variegata che popola le strade di Tokyo e con maggior predilezione verso coloro che ostentano ricchezza e potere; come se in tal modo possa attenuare il senso di colpa per il piacere che prova nell'impossessarsi della proprietà altrui, nell'avere tra le mani un pezzo della vita altrui, quello riassunto nelle foto, nei documenti di identità o nelle tessere conservate nel portafoglio o in una borsa.
Le tecniche di furto sono estremamente precise ed eseguite con perizia quasi chirurgica; e per quanto mi sembra assurdo che un ladro, seppur di tale livello, possa riuscire nel giro di pochi secondi a sbottonare un cappotto, tagliare un taschino interno, sfilare un portafoglio, prenderne i soldi all'interno, rimettere al suo posto il portafoglio e riabbottonare il cappotto senza destare il minimo sospetto, devo ammettere che mentre leggevo il libro in metropolitana ho spesso controllato, quasi istintivamente, che il mio portafoglio fosse sempre al suo posto.
Poi un giorno la vita di Nishimura subisce un radicale ed improvviso cambiamento: da una parte l'incontro, sembrerebbe fortuito e casuale, con un bambino alle prese con i suoi primi tentativi di furto, alquanto maldestri, in un supermercato che fa riaffiorare nella mente di Nishimura i ricordi della sua infanzia e risveglia nel suo cuore un desiderio di amicizia e di affetto sino ad allora soffocato da anni di solitudine ed isolamento; dall'altra, l'incontro altrettanto casuale con un uomo misterioso e temibile, già citato Kizaki, che lo costringe ad assecondare i suoi piani criminali apparentemente senza una ragione precisa che giustifichi il suo coinvolgimento, senza un motivo per cui Kizaki abbia scelto proprio lui, Nishimura.
Ma nulla avviene per caso nella vita di ogni uomo, il destino è sempre un disegno ben preciso nella mente del più forte: 'In fondo che cos'è il destino, se non il vincolo che tiene uniti i deboli ai forti?'
Anche gli eventi solo all'apparenza inevitabili sono sempre mossi dalla cupidigia e dall'opportunismo di alcuni e dallo scontento degli altri che sfocia inevitabilmente in un gesto disperato e definitivo.