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Il cataclisma dell’umiliazione
“A cosa serve la felicità quando non è condivisa, Amin, amore mio? La mia gioia si spegneva ogni volta che tu non la condividevi. Tu volevi dei figli. Io volevo meritarli. Nessun bambino è al sicuro senza una patria… Non odiarmi. Sihem. ”Amin e Sihem sono una coppia di palestinesi che hanno ottenuto la cittadinanza israeliana. Lui è un affermato chirurgo, lei una donna stimata, bella, intelligente, moderna. Sono un riuscitissimo esempio di integrazione, la prova che la convivenza tra culture e religioni differenti è possibile. Niente può far pensare che un giorno la donna possa imbottirsi di esplosivo e farsi saltare in aria in un ristorante affollato. Eppure è così, è proprio lei l’attentatrice che ha seminato morte e terrore tra civili indifesi. Ma come ha fatto Sihem a nascondere le sue intenzioni al marito? A preferire la morte ad una vita invidiabile? A rivoltarsi contro chi l’aveva accolta in seno alla propria società? Amin è sconvolto, non riesce a capire, stenta a credere che ciò sia veramente accaduto. Deve fare i conti con il dolore, la rabbia, i sensi di colpa. Deve affrontare i propri fantasmi e difendersi dalle subdole rappresaglie degli israeliani offesi. Superate le difficoltà iniziali, decide di intraprendere un’indagine privata per scoprire la verità sulla vita di una persona che pensava di conoscere meglio di se stesso e che invece si rende conto di non aver conosciuto affatto. La ricerca di Amin è dettata esclusivamente da motivi personali, ma lo porterà invece a conoscere le ragioni collettive di un popolo che ogni giorno è costretto a vedere la sua terra usurpata, la sua dignità umiliata, i suoi diritti calpestati, che combatte a mani nude, a colpi di fionda, con armi di fortuna contro un nemico protetto da scudi antimissile che non esita ad usare i carri armati, i razzi, gli elicotteri. Un popolo che è il suo stesso popolo, cui lui aveva voltato le spalle, preferendo chiudersi nella sua gabbia dorata piuttosto che volgere lo sguardo sull’inferno che dilania la sua gente, che violenta la sua patria, che impedisce ai suoi figli di studiare, di sognare, di sperare nel futuro. Sullo sfondo una Gerusalemme “divisa fra un orgasmo da odalisca e un ritegno da santa” che “ha sete di ebbrezza e spasimanti, e vive malissimo la cagnara dei suoi figli, sperando contro venti e maree che una schiarita liberi le menti dal loro oscuro tormento. Di volta in volta Olimpo e ghetto, ninfa Egeria e concubina, tempio e arena, soffre di non poter ispirare i poeti senza che le passioni degenerino e, con la morte nel cuore, si sfalda a seconda degli umori come si frangono le sue preghiere nella bestemmia dei cannoni.” Il libro cerca di comprendere le ragioni di un gesto orribile senza minimamente legittimarlo, perché non esistono scusanti quando si parla di violenza. Ma, se non esiste giustificazione all’atto compiuto da Sihem, può esisterne per i droni israeliani che lanciano missili sui civili palestinesi? Per i bulldozer che radono al suolo le case arabe senza pietà, con tutto ciò che c’è dentro? Per la violenza di giovani militari imberbi su profughi che hanno soltanto le mani per difendersi dai colpi inferti loro con i calci dei fucili? Si può accettare l’innalzamento di un muro talmente osceno “che i cani preferiscono alzare la zampa sui rovi piuttosto che ai suoi piedi”? Si può ancora chiudere gli occhi davanti alla violenza, all’irragionevolezza, all’arroganza di politiche sioniste giustificate da un’inaccettabile legge di compensazione? “Ho voluto che capissi perché abbiamo preso le armi, dottor Jaafari, perché dei bambini si gettano sui carri armati quasi fossero bomboniere, perché i nostri cimiteri traboccano, perché voglio morire con le armi in pugno…perché tua moglie è andata a farsi esplodere dentro un ristorante. Non c’è cataclisma peggiore dell’umiliazione. È una disgrazia incommensurabile, dottore. Ti toglie la voglia di vivere. Finché non hai reso l’anima a Dio, hai una sola idea per la testa: come morire degnamente dopo aver vissuto disperato, cieco e nudo? … Nessuno si unisce alle nostre brigate per il proprio piacere, dottore. Tutti i ragazzi che hai visto, alcuni con le fionde, altri con i bazooka detestano la guerra più di chiunque altro. Perché ogni giorno uno di loro muore nel fiore degli anni per un proiettile nemico. Anche loro vorrebbero godere di uno status onorevole, diventare chirurghi, star della canzone, attori del cinema, correre in fuoriserie e toccare il cielo con un dito tutte le sere. Il problema è che impediscono loro di sognare.”
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Federica
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