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Nel pieno dell'avventura.
Arthur Conan Doyle, è uno scrittore, medico e poeta scozzese, nato nel 1859 e morto nel 1930. Assieme a Edgar Allan Poe, è considerato il fondatore del giallo e del fantastico come generi letterari ed è capostipite del sottogenere noto come “giallo deduttivo”, reso famoso dal personaggio dell’investigatore Sherlock Holmes. Studente brillante e uomo dalle forti convinzioni, tanto da intervenire in alcune battaglie (sostenne la riforma per il divorzio, intervenne contro le atrocità in Congo nel 1909 ecc.), spinto da un personale senso dell’onore senza secondi fini. Cercò in tutti i modi di esercitare la professione medica e mettere da parte abbastanza soldi da poter aprire uno studio medico tutto suo, cosa che in realtà avvenne, ma lo scarso successo della sua impresa, lo avvicino ancora di più alla scrittura, portandolo a dare alla luce il primo romanzo sul famoso detective: “Uno studio in rosso”, del 1887. “Il segno dei quattro”, rappresenta il seguito della prima avventura di Sherlock, ma anche l’opera che lanciò l’autore sulla cresta dell’onda. Nonostante tutto, Arthur odiava il suo personaggio più popolare, perché divenuto più famoso di lui.
Detto questo, passiamo alla trama (in breve, come al solito):
Sherlock e Watson, vengono ingaggiati per far luce su un omicidio che ha a che vedere con il soprannaturale: l’anziano sir Charles Baskerville, pare essere stato ucciso da una bestia leggendaria… Sarà reale o frutto di superstizioni popolari e suggestioni psicologiche? I Baskerville sono, infatti, vittime di una maledizione legata ad un loro antenato, sir Hugo, reo di aver cercato di inseguire una ragazza sfuggita al suo corteggiamento e vittima di un misterioso mastino uscito dagli inferi per sbranarlo. L’investigatore ed il suo compare, verranno contattati direttamente dall’erede di Charles, intimorito e bisognoso di rassicurazioni da parte dei due esperti. Toccherà a Watson il compito di essere “l’ombra” di Henry Baskerville, nel tentativo di smascherare l’assassino di Charles e svelare il mistero del Mastino proveniente dagli inferi. Mistero, azione e sotterfugi, saranno il sottofondo di uno dei più famosi episodi del famosissimo investigatore, un mix perfetto per una storia avvincente.
Detto questo, ammetto la mia totale estraneità al genere thriller/poliziesco/giallo o come lo si voglia chiamare. Libro comprato per caso, nemmeno sapevo chi fosse Doyle (eh lo so, sono scandalosa) ma piacevolissima sorpresa. D’altronde cosa mai mi sarei dovuta aspettare? Ho visto che è veramente apprezzato da tutti ma sono sempre scettica perché si sa, i gusti son gusti.
Resta il fatto che la narrazione scorre da 10, un bel racconto lineare ed ho apprezzato veramente molto che fosse scritto in “flashback” da parte proprio di Watson. Nei film e nell’immaginario comune, il vero genio è Sherlock e spesso Watson pare essere un soprammobile. Sì, qualche momento di gloria lo vive anche lui talvolta, però il vero “fenomeno” della situazione sappiamo tutti chi sia. Personalmente, credo che mi sia piaciuto così tanto questo libro, proprio perché Sherlock c’è e non c’è, Watson è così modesto e “umano” ed io nutro molta più simpatia per lui, non lo nego. :)
Mi avvio alla conclusione dicendo che è un classico e anche se il genere può non piacere eccessivamente, risulta essere apprezzabile. I protagonisti sono conosciuti e straconosciuti ma si riesce comunque ad apprezzare varie sfaccettature della loro personalità e ci si sente proprio coinvolti nella vicenda. Spesso ho faticato a interrompere la lettura tanto mi aveva preso.
Buona lettura a tutti!