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Il mistero del drago
Riprendo in mano dopo un’infinità di tempo un romanzo di Philo Vance dopo la triade Benson-Canarina-Green che, peraltro, nella mia beata ignoranza credevo fossero gli unici ad avere come protagonista il detective dandy creato da S. S. Van Dine (pseudonimo di Willard H. Wright). Invece questo è il settimo volume di una serie di dodici e narra della ricerca del colpevole di due omicidi che avvengono in una lussuosa villa di Manhattan: la dimora è circondata da un vastissimo parco con al centro una piscina nella quale scompare – alla lettera, visto che non se ne trova il corpo - la prima delle vittime. La sparizione avviene al culmine di una festa ad alta gradazione alcolica i cui partecipanti trovavano tutti insopportabile il defunto: questo e un’antica leggenda indiana che narra di un drago che vive nella pozza d’acqua sembrano rendere inestricabile il garbuglio, ma le capacità di analisi di Vance, aiutate da un secondo delitto per molti versi chiarificatore, conducono all’inevitabile scoperta del colpevole. Ambientato nell’altissima società di New York, il romanzo mette in scena una famiglia di antico lignaggio e di attuale decadenza – con tanto di vecchia folle, ruolo ideale per Bette Davis - nella cui sfinita ricchezza sguazza come meglio non si potrebbe il detective con i gusti più raffinati e costosi che ci siano. Vance sprizza soldi e sapere da tutti i pori (però le divagazioni sui draghi e sui pesci tropicali sono davvero troppo lunghe e non si capisce perché, invece di stare ad ascoltarlo, dopo un po’ non lo mandino a stendere) e, malgrado qualche tentativo di umanizzazione da parte dell’autore, non si può certo dire che sia un mostro di simpatia: attorno a lui, però, la trama gialla scorre senza intoppi creando la giusta dose di curiosità nel lettore. Il libro è stato scritto nella prima metà degli anni Trenta e questo sta alla base di un impianto più che mai tradizionale con personaggi da cui si sa esattamente cosa aspettarsi (il sergente burbero, il procuratore pieno di dubbi e così via) raccontati in prima persona dallo scrittore che si immagina amico e segretario del protagonista riportando subito alla mente Watson, seppur con un ruolo assai più marginale: in ogni caso, il racconto procede sicuro e, malgrado il ritmo non si possa definire fulminante, regala alcune ore di piacevole svago a chiunque che abbia voglia di attenersi alle sue regole.