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Delitto di mezza estate
E’ difficile immaginare qualcuno di più scandinavo del gelido serial killer che si aggira in una Svezia medifionale insolitamente calda anche per i mesi estivi mettendo nel proprio mirino le persone felici (più qualche vittima collaterale). Nella sua settima indagine, il commissario Wallander si trova così a inseguire una sorta di ombra sfuggente e solo grazie a una grande tenacia, oltre che a qualche mossa ai limiti dell’incoscienza e ben fuori dal regolamento, riesce infine a venire a capo dell’indagine. Il protagonista dei romanzi di Mankell, infatti, crede nel lavoro di squadra – attorno a lui si muovono i consueti (per il genere) comprimari della stazione di polizia – ma finisce per compiere passi avanti o risolvere il caso solo grazie a testarde iniziative personali che spesso fanno seguito a improvvise inuizioni che a volte risultano un po’ forzate. Del resto, si ha l’impressione che, senza di esse, i poliziotti continuerebbero a girare in tondo, il che non depone proprio a favore dell’equilibrio con cui è costruita la storia: se da una parte si fanno apprezzare il passo lento e l’abilità di gestire quell’accumulo di tensione che genera la suspence, dall’altro gli strappi bruschi finiscono per risultare non ben amalgamati al tutto. Benchè la lettura risulti piacevole e le pagine si facciano girare per vedere cosa sta per succedere, il giudizio sul romanzo resta così un po’ a mezza strada, con l’idea che le premesse non siano state mantenute nello sviluppo della storia, forse anche perché lo scrittore non riesce ad approfondire del tutto il personaggio dell’assassino essendo troppo concentrato su quello del protagonista. Malgrado non abbia neancora cinquant’anni, Wallander dà infatti segni di decadimento fisico precoce, anche se il diabete, che fa da contrappunto a tutta la prima parte, in pratica scompare in una seconda in cui l’intera polizia di Ystad si sottopone a fatiche fachiresche pur di acchiappare il colpevole (sarà merito dell’adrenalina?): il tema degli anni che passano è interessante, ma dà l’impressione di essere troppo sottolineato, con anche il rischio di qualche ripetizione. Di certo, contribuisce ad aumentare il numero delle pagine, che finisce per sfiorare la cifra, un po’ eccessiva, di seicento: in esse fanno la loro parte anche le continue riunioni tra il commissario e i suoi collaboratori (necessarie per trasmettere il senso di impotenza che li pervade) e gli inutili pistolotti, sparsi lungo tutto il corso del romanzo, sulla decadenza della Svezia moderna, descritta in modo vagamente destrorso come fosse la Chicago degli anni Venti. Alla fine, ‘Delitto di mezza estate’ è un giallo ben scritto e adatto alla stagione estiva, ma che potrebbe far arricciare il naso agli appassionati del genere e al quale, in ogni caso, non avrebbe fatto male una bella sforbiciata.