Dettagli Recensione
Marnie feat. Hitchcock
Uno psicodramma di notevole caratura: “Marnie” di Winston Graham è l’opera dalla quale Hitchcock ha tratto l’omonimo film del 1964.
Marnie soffre di cleptomania (“A dieci anni ero stata sorpresa a rubare due volte… Imparai subito che era molto meglio non avere partner”). In particolare, nei suoi “colpi”, segue un canovaccio collaudato:
- si fa assumere preferibilmente in ruoli di cassiera/contabile (“Un anno dopo il colpo al Roxy, risposi a un’offerta della John Rutland & Co. di Barnet. Si trattava di un posto da vice cassiera”);
- dimostra grande professionalità (“Non si può dire che ti manchi l’iniziativa sul lavoro, ma è come se recitassi una parte”) e studia attentamente le abitudini del luogo di lavoro;
- coglie l’opportunità di impossessarsi dei contanti;
- sparisce con il malloppo;
- cambia identità e riparte per una nuova avventura (“Un anno dopo il colpo al Roxy, risposi a un’offerta della John Rutland & Co. di Barnet. Si trattava di un posto da vice cassiera”).
Con questi furti, la donna mantiene l’anziana madre, che ha un passato ambiguo nel quale i problemi di Marnie affondano le loro radici (“…sebbene fossi la luce dei suoi occhi, non mi baciava mai con un sincero slancio d’affetto”) e vive a Torquay con un’inserviente.
Nel corso dell’ennesimo cambio d’identità (“A volte mi viene il dubbio che nascondi un insospettabile passato”), la ladra approda alla Rutland & Co. E lì, i due giovani rampolli della proprietà aziendale - Terry e Mark - la corteggiano (“Volevo evitare di rovinare i rapporti anche con l’altro dirigente giovane dell’azienda… In realtà non sapevo cosa farmene, né di lui né di suo cugino”). Perché Marnie è tanto bugiarda (“So che hai ventitré anni e che sei vedova. Tuo padre e tua madre vivono in Australia e tu hai studiato a Norwich. Sei bravissima con i numeri, i temporali ti spaventano a morte e vai spesso alle corse…”) quanto bella.
Ma la cleptomania non è l’unico complesso che affligge l’apparentemente inappuntabile impiegata: Marnie è ceraunofoba, ossia ha una paura ancestrale per i temporali (“Se un lampo si riflette in uno specchio, vedrai lo sguardo del diavolo”) e – se ne accorgerà ben presto Mark, che scopre il tentativo di furto e ciononostante la sposa – è frigida (“No, non sei tu il problema. Non sopporto il contatto fisico”).
L’unica situazione nella quale la donna sembra felice è il contatto con il cavallo che possiede (“Mi piacciono i cavalli. Per me non c’è niente di più bello”)…
Mark convince la moglie a sottoporsi a psicoterapia e Marnie oppone anche a questo tentativo ogni resistenza possibile, frapponendo tra sé e lo psicanalista la sua fortissima tendenza a mentire (“E’ come se un bocciolo rifiutasse di schiudersi o una farfalla volesse a tutti i costi rimanere crisalide”): mentire sempre e comunque (“le lacrime erano finte, naturalmente, non provavo il minimo rimorso”).
Il finale del romanzo di Graham è completamente diverso da quello rappresentato da Hitchcock nel film: più complesso (“Penso che i sentimenti siano come le scatole cinesi: ne apri una e dentro ne trovi un’altra e poi un’altra e non riesci mai ad arrivare all’ultima…”) e credibile (“Il dolore degli altri non era tanto diverso dal mio”), meno hollywoodiano, più esistenziale (“Non è la banderuola che cambia direzione, è il vento”)…
Bruno Elpis
Indicazioni utili
Commenti
3 risultati - visualizzati 1 - 3 |
Ordina
|
3 risultati - visualizzati 1 - 3 |