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PSICO 2
Vent’anni dopo ritroviamo Norman Bates nell’ospedale psichiatrico diretto dal dottor Nicholas Steiner: “In qualità di bibliotecario aveva accesso ai libri, cosa che aveva sempre amato”. Sembrerebbe guarito…
Intanto a Hollywood qualcuno pensa di realizzare un film che racconti la storia del gestore dell’horror-motel sulla strada per Fairvale (“Facciamo un film sul caso Bates”): “Crazy Lady: il film che non vedrete mai”.
Norman trova la via per evadere dal manicomio e semina una scia di morte: massacra due suore, un autostoppista, Lila Crane e Sam (personaggi di Psycho 1, che nel frattempo si sono sposati).
Per il dottor Adam Claiborne, lo psichiatra che aveva Norman in cura, la fuga del paziente è un fallimento terribile (“I suoi errori di diagnosi e prognosi erano i veri crimini”) sul piano personale e professionale: “Non avrebbe scritto nessun libro, ormai, nessun dotto e compiaciuto resoconto del trattamento grazie al quale si può restituire la ragione a uno psicotico senza far ricorso all’elettroshock, alla neurochirurgia e ad altri mezzi barbari del genere”.
Adam raggiunge il set cinematografico ove il film su Norman sta per essere realizzato: lo psichiatra è convinto che ben presto, lì, Norman farà una strage per evitare che la sua vita venga messa in piazza per il grande pubblico.
Sul set s’intrecciano le vite dell’ambiziosa Jan Harper, attrice che assomiglia a Mary Crane, lo sceneggiatore Roy Ames, il regista Santo Vizzini, che alle spalle ha una storia infantile di sofferenza ove la figura materna è in primo piano, Marty Driscoll, spregiudicato produttore disposto a tutto per il profitto, l’attore Paul Morgan, intento a misurarsi nella vita reale con le preferenze sessuali di Norman, per meglio calarsi nel personaggio.
Tra i protagonisti del set e i personaggi reali si crea una pericolosa confusione (“una specie di catessia, cioè di attaccamento inconscio alla persona di Norman”), che il regista Vizzini interpreta cercando di uccidere Jan Harper nella doccia: “Vizzini… s’identifica con Norman Bates, ed è per questo che vi ho sconsigliata dall’identificarvi con Mary Crane”.
Nonostante qualche spunto inquietante (“L’identificazione è un processo che riguarda la maggior parte di noi, a vari livelli”) e i colpi di scena finali, Psycho 2 è ben lontano dall’originalità dell’opera prima. Soprattutto nella parte centrale, si dilunga e non mantiene un adeguato livello di pathos. Come spesso accade, anche questo sequel soffre di inevitabili forzature e patisce il carico d’aspettativa di chi ha letto il primo Psycho.
Bruno Elpis
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