Dettagli Recensione
Mamma!
Un motel sinistro, su una strada poco battuta (“Ma non è probabile che qualcuno passi di qui. Tutti ormai prendono la nuova strada”). Il suo gestore è Norman Bates: un uomo succube della madre (“lei gli aveva sempre imposto la sua legge”), con evidenti problemi d’identità e di autostima (“sei una femminuccia”).
Lì capita Mary, un’avvenente giovane donna che ha rubato (“in totale quarantamila dollari”) per amore.
Dopo averle assegnato la camera numero 6, Norman invita a cena Mary nella “casa sul pendio della collina dietro il motel”, ove l’uomo vive con la stramba mamma.
Dalle parole di Norman traspaiono soggezione (“La mamma non permette che ci siano liquori in questa casa”), riconoscenza (“… so quanti sacrifici ha fatto. Se oggi appare un poco strana, è colpa mia”), senso di colpa (“sono io il responsabile. Quando è venuta da me quella volta e mi ha detto che voleva risposarsi, sono stato io a impedirglielo”) e anche qualche mania (“Volevo parlarvi delle mie piccole manie. Ho una specie di laboratorio, giù nel seminterrato…”). Mary Crane conclude che “il poveretto aveva terrore di avvicinare una donna”.
In realtà le turbe di Norman sono ben più gravi: tanto per cominciare (e non finire) sono di carattere sessuale (“impotente”) e voyeuristico (“spiare attraverso il piccolo buco che aveva praticato tanto tempo addietro”).
La reazione della mamma - gelosia? Istinto repressivo? - non tarda ad arrivare e Norman non esita a coprire il delitto (“ora l’essenziale era far sparire le prove. Il corpus delicti”): quello famosissimo e celebrato da Hitchcock nell’indimenticabile scena della doccia…
Ma la mamma è sempre la mamma e Norman la pensa proprio così: “Ed eccola scivolare fuori, con un delizioso abito a trine. Aveva il viso incipriato di fresco e appena passato il rossetto, era graziosa come un quadro e sorrideva mentre si avviava giù per le scale”.
Le gesta successive di Norman mirano a rintuzzare Lila Crane e Sam Loomis, rispettivamente sorella e fidanzato di Mary, che tentano di far luce sulla sparizione di Mary affiancati dall’investigatore assicurativo Milton Arbogast.
Questo psicothriller è un capolavoro: si trastulla tra asperità e sfaccettature del complesso di Edipo, asseconda la violenza della rimozione (“solo di una cosa era lieto: di non essere responsabile di quanto era accaduto”), rappresenta con potenza scenografica le dilacerazioni che nella psicosi dissociativa trovano teatrale e rutilante manifestazione: “Norman il ragazzino che aveva bisogno della madre e odiava tutto quello che si metteva tra lui e lei. Poi c’era Norma la madre, che non si poteva lasciar morire. Il terzo aspetto potrebbe essere chiamato Normal… il Norman Bates adulto che doveva adattarsi al lavoro quotidiano e nascondere al mondo l’esistenza delle altre personalità… l’empia trinità.”
Da leggere, mantenendo - negli occhi che scorrono sulle parole del libro - il diaframma delle immagini del film di Hitchcock.
Bruno Elpis
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Commenti
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@ Marcella: altro che se me lo ricordo! Stavo leggendo il romanzo, quandoti ho risposto... :-)
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E io che pensavo che fosse un 'gialletto' , un romanzo di sottogenere ...