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Birds & birds & birds
Dal primo di questi racconti (“Gli uccelli”) trasse ispirazione Alfred Hitchcock per i “Birds” del suo film cult. Lo spunto della tensione è il medesimo, ma la storia che Hitchcock impianta sull’atmosfera di terrore e minaccia mutuata dall’idea di Daphne Du Maurier è completamente diversa.
Il racconto ha infatti un plot piuttosto elementare, perché narra come Nat affronta gli inquietanti stormi dei volatili assassini con la moglie e i figlioletti Jill e Johnny.
Dapprima è soltanto osservazione di abitudini stanziali (“i rituali della loro vita non tolleravano ritardi”) o migratorie (“arrivavano sulla penisola a grossi stormi, irrequieti, agitati, consumando le energie nel continuo movimento”). Poi le pagine s’imbrattano di macchie (“bianchi e neri, gabbiani e cornacchie si mescolavano in starne amicizie, in cerca di una specie di liberazione, mai soddisfatti, mai fermi”) e di forme (“beccacce di mare, pettegole, piovanelli e chiurli erano appostati sulla battigia”) al ritmo incalzante (“gli uccelli erano stati più irrequieti che mai quell’anno e la loro agitazione era più evidente perché le giornate erano tranquille”) di una minaccia che diventa sempre più concreta (“ci sono in giro più uccelli del solito, me ne sono accorto anch’io”), sempre più misteriosa nelle cause (“è colpa del tempo, dev’esser così, è colpa del brutto tempo”) e cupa nelle tonalità (“erano i gabbiani a oscurare il cielo ed erano silenziosi, non emettevano un solo verso”).
Di fronte a un’occulta forza naturale, l’uomo è piccolo piccolo con le sue strategie prima supponenti (“Perché non si ferma qui e si unisce alla battuta di caccia?”), ben presto difensive (“decise di portare gli uccelli alla spiaggia e di seppellirli là”), poi di rassegnata resa (“ovunque volgesse lo sguardo vedeva uccelli morti”), infine di disperata sussistenza (“Nat prestò ascolto al rumore del legno ridotto in schegge e si domandò quanti milioni di anni di memoria fossero rinchiusi in quei cervellini, dietro quei becchi appuntiti, quegli occhi penetranti, e che ora alimentavano l’istinto di distruggere l’umanità con l’abile precisione delle macchine”).
Anche il secondo racconto (“Monte verità”) ha un’atmosfera di sospensione e minaccia in una connotazione mistica (“Questa calma, non saprei come altrimenti chiamarla, proveniva da una profondità interiore e gettava su tutta la casa una specie di incantesimo”) se non addirittura esoterica (“A un tratto mi tornarono in mente leggende di tempi remotissimi, storie di druidi, di massacri, di sacrifici umani”). Con ritmo lento, quasi esasperante, scorre la storia d’amore tra narratore e Anna, moglie dell’amico di sempre Victor: tre appassionati di montagna (“L’impulso ad arrampicarsi non potrà mai essere spiegato”) legati dal filo di una storia inquietante (“Dopo tutto siamo alla ricerca della stessa cosa”) di misteriosa sparizione...
A mio parere, questo libro è unicamente “Uccelli”, cinquanta pagine circa alle quali dedico le mie valutazioni.
Bruno Elpis
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@ Luana e Marcella: un nostro punto in comune! :-)
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