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“Quando torniamo a casa?”
Leggi un romanzo, ed è la trasposizione letteraria del tuo peggior incubo. E non vorresti mai sapere, né tantomeno leggere, che ciò che più ti spaventa esiste, è un incubo reale. E allora il coinvolgimento emotivo ti schiaccia.
“Forse crediamo alle coincidenze solo perché non sopportiamo di pensare alle possibili alternative.”
Chissà perché con questo autore ho difficoltà nei sentimenti; cioè a fine lettura sono sempre un po’ inquieta da un lato e insoddisfatta dall’altro.
È sicuramente un romanzo ben congegnato e angosciante, ma freddo. Non tanto per le vicende narrate, perché la storia è raccontata proprio con questa modalità di narrazione. Ma a fine lettura mi è rimasto un senso di profonda tristezza e mi sono chiesta perché.
Forse perché l’aspetto umano non è l'elemento fondamentale.
Nulla ci parla di questi protagonisti che conosciamo si, ma è come se restassero latenti, ciò che conta sono solo i fatti che sembrano quasi svolgersi indipendentemente da loro, come se non ci fosse un legame tra vicende e persone coinvolte. Insomma come se l’autore non fosse riuscito appieno a creare un’unica voce, non fosse riuscito ad amalgamare il tutto.
Ma chissà che questo aspetto da me criticato non sia il suo vanto e la sua bravura, il suo pregio nel riuscire a ricostruire in modo freddo e distaccato racconti così tetri.
Tuttavia avverto un vuoto, una mancanza. Il mio bisogno di affezione non viene appagato.
Ho avuto la stessa sensazione con “La psichiatra”.
E poi c'è il silenzio.
Il silenzio, tema ricorrente, mi inquieta.
Quel silenzio che si fa...sentire. E' questo il silenzio che mi annichilisce e da cui io cerco di fuggire.
“Ma ancora più opprimente della tenebra era la quiete, mentre Jan Forstner imboccava la strada verso il reparto 12. Frugò nei ricordi alla ricerca di una melodia che potesse scacciare il silenzio dalla sua testa. Questa volta gli risultava più difficile, perché invece di ricordi acustici nella sua mente riaffiorarono immagini. "
“Il silenzio nell'ampio ufficio era insopportabile. … Jan Forstner cercava di mascherare il proprio disagio, quello strisciante malessere che lo assaliva sempre quando intorno a lui regnava un silenzio nel quale si sarebbe potuto sentire cadere uno spillo.”
“Se in quel momento si fosse trovato a casa oppure in giro in macchina, avrebbe acceso la radio. Una stazione qualsiasi. L'importante era avere voci e musica che mettessero fine al silenzio.”
Forse questo autore mi coinvolge più di quanto penso.
Forse non sono completamente libera e a mio agio durante la lettura.
Forse non vorrei fosse così.
“...la panchina era vuota. C'era solo il dittafono.”
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Commenti
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Grazie e buone letture :)
Buone letture
Mariangela
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Bella la tua analisi.