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Felici da morire
“Il grande problema, quello cruciale, era capire perché ci amavamo”.
Due solitudini che si riconoscono, due psicopatologie che si incastrano alla perfezione realizzando un legame mortifero.
Si sentono i palpiti dell'amore in questo romanzo, ma sono inesorabili come la morte.
Con stile fluido ed essenziale Charles - protagonista di una storia inventata nella trama ma di sicuro autentica nelle sensazioni - scrive dal carcere al suo giudice una confessione a cuore aperto, avendo ravvisato anche in lui quella zona d'ombra che gli appartiene, quell'angolo oscuro dove va talvolta a rifugiarsi la libertà frustrata, fuori dai condizionamenti che gli altri ci impongono.
Charles è medico, padre e marito senza che lo abbia mai davvero scelto, e si ritrova a vivere in una città di provincia accettando il ruolo che qualcun altro gli ha cucito addosso.
Le avventure extraconiugali che si concede ogni tanto (non ha mai amato né desiderato la moglie) non bastano a colmare un senso di vuoto che è quasi vertigine, un anelito di vita vera che non può più essere ignorato.
L'incontro con Martine, giovane donna più civettuola che bella, possiede la forza fatale e travolgente degli eventi casuali.
La rivelazione avviene dopo un amplesso consumato in uno squallido alberghetto, quando l'uomo passa dall'indifferenza ad uno stato di estrema consapevolezza:
“Ho amato d'un tratto tutto il suo corpo, di cui sentivo i minimi fremiti”.
Sono i fremiti di un'angoscia profonda che ha portato la ragazza a darsi compulsivamente a numerosi uomini ricercandone le attenzioni, senza trarne peraltro alcun piacere.
Ma ora che l'assenza di lei è diventata perfino dolore fisico Charles la vuole solo sua, innocente e bambina, e picchia con furia la sgualdrina che potrebbe ancora essere, ne scaccia l'immagine immonda, mentre Martine, groviglio inestricabile di sensi di colpa, si sottomette remissiva.
Dopo, tornata pura come lui la vuole, trasfigurata dalla passione, la stringe tra le braccia “con infinita dolcezza” e ne consola tutte le paure, conoscendone esattamente l'origine (d'altronde non c'è più niente che ignori della sua vita).
Stretti l'uno all'altra, affrontano i fantasmi del passato di lei che ossessionano la mente di lui:
“Non sapevamo dove stavamo andando ma non potevamo andare altrove”.
Seguire le riflessioni dell'io narrante porta ad una visione chiara del suo punto di vista, talmente chiara che a volte i suoi pensieri allucinati ingannano, passando al lettore come se avessero una logica, mentre dalle pagine emerge un sentimento doloroso, divorante, paradossale.
E' l'amore di un folle, è la follia dell'amore:
“Eravamo felici da morire, Martine e io”.
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ciao paola
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