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Lettera al mio giudice
 
Lettera al mio giudice 2014-02-18 20:56:32 Rollo Tommasi
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Rollo Tommasi Opinione inserita da Rollo Tommasi    18 Febbraio, 2014
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Una scommessa letteraria

A motivare Alavoine, medico generico di una cittadina francese, a scrivere al “suo” giudice è il senso di delusione. Non la delusione di essere stato condannato per omicidio, ma anzi il contrario: che lo stesso giudice istruttore abbia fatto trapelare la considerazione secondo cui ritiene quel reato non commesso con premeditazione.
Se è così, allora quello che l'omicida ha messo in atto, e che dipende direttamente dalla vita che ha condotto, non potrà essere compreso da nessuno... e per Alavoine è un'idea insopportabile: “cerchi di capire, per favore. Non faccia come quelli che si sono occupati del mio caso, come quella giustizia che lei serve e che nel mio delitto non ha voluto vedere nulla di ciò che contava realmente”.
La lettera al “suo” giudice, allora, è il pretesto per ricostruire l'antefatto di quel delitto, l'unico commesso e forse l'unico che poteva commettere un onesto medico di paese come Charles Alavoine. E l'antefatto è l'intera sua vita, a partire dal rapporto con la comprensiva madre, poi con la remissiva e sfortunata prima moglie Jeanne, che gli darà due figlie, e con la volitiva e “chirurgicamente” prevaricatrice seconda moglie, Armande, fino ad arrivare alla fragile ed incompiuta Martine, la donna che, da lui incrociata per un casuale capriccio del destino, gli sconvolgerà la vita (per la verità, lo sconvolgimento sarà reciproco).

La scommessa iniziale di Simenon stuzzica, e molto: raccontare una vita non attraverso la “classica” narrazione dei fatti, bensì per mezzo di una lettera-confessione indirizzata a un destinatario per nulla scontato.
Tutt'altro che scontata, se ci si pensa, è anche l'idea che uno scrittore (Simenon o chiunque altro) possa riuscirci. Difatti il nostro autore in questo sembra fallire: quel giudice Corneliau che nella prima parte del racconto viene considerato dal condannato come un vero e proprio interlocutore – e dunque pienamente coinvolto nell'analisi di Alavoine – poco a poco è messo ai margini, essendo evocato più come uno spettatore del resto della vicenda.
Intendiamoci: la scommessa era davvero ambiziosa. E comunque non si può dire che sia, per Simenon, totalmente persa: difatti il monologo “aperto” del protagonista viene comunque sostituito, in progressione, da una storia raccontata in modo ammirevole. George Simenon è un gigante dell'introspezione: le pagine che approfondiscono l'inizio del rapporto tra l'uomo-bambino (per un senso) Alavoine e la donna-bambina (per altro senso) Martine esprimono un senso di coinvolgimento misto a tenerezza in un modo assolutamente ammirevole.
Sono il prima e il dopo, tuttavia, a destare qualche perplessità (almeno per chi è più attento all'analisi dell'animo umano): non appare del tutto conseguenziale che la vita coniugale di Alavoine debba portare a quel tipo di evoluzione personale determinata dall'incontro con Martine, così come le ultime venti-trenta pagine – in cui l'amore possessivo e carnale dei due evolve in qualcosa di diverso – sembrano “accelerare” notevolmente rispetto al ritmo sino allora mantenuto.
In ogni caso un libro da leggere, se non altro per l'analisi psicologica e umana sui personaggi principali del romanzo, sulle loro ossessioni e fragilità e sul conseguente modo in cui le stesse si rapportano e si combinano (oppure si mancano).

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Commenti

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che analisi approfondita, Rollo!!!
questo Simenon mi manca
Interessante il tuo punto di vista, ma facendo psicologia spicciola penso che la consequenzialità di cui parli bisognerebbe cercarla nell'infanzia del protagonista e nel suo rapporto con la figura materna.
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Pia Sgarbossa
19 Febbraio, 2014
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Dettagliata recensione...bravissimo.
Pia
Grazie a tutte voi. E' il primo Simenon orfano di Maigret che leggo. Non m'è dispiaciuto, ma non mi ha nemmeno impressionato.
Sulla psicologia del personaggio, Cristina, non riesco a vedere questa insoddisfazione - prima dell'incontro con Martine - che d'improvviso esplode in Alavoine... ma è un'opinione del tutto personale: magari Simenon voleva solo suggerirla, perchè il momento della "deflagrazione" sentimentale fosse più coinvolgente possibile per il lettore...
... Non lo so... sto facendo anche io psicologia spicciola, probabilmente...
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Cristina72
19 Febbraio, 2014
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@Rollo non ho ancora letto il libro ma so che Simenon ha deciso di "uccidere" Martine per "sfogarsi" ed evitare di farlo nella realtà con qualche donna (così almeno ha affermato). Tra l'altro aveva un rapporto abbastanza difficile con la madre.
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Rollo Tommasi
19 Febbraio, 2014
Ultimo aggiornamento:
19 Febbraio, 2014
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CONTIENE SPOILER GRANDE COME UNA CASA.
Charles uccide Martine perchè è convinto che ciò sia nel suo destino... anzi, perchè ritiene che sia ciò che la donna in realtà vuole. Martine è due donne insieme: una fragile, ed una che cerca di liberarsi di questa fragilità. La vera inquietudine è che tutto ciò, nel romanzo di Simenon, è quel che Charles afferma, e non è detto che sia la vera "ambizione" di Martine. Salvo la remissività della donna anche nel momento decisivo del libro, non c'è nessuna vera conferma di questa visione di Charles. E' proprio questa ambiguità che mi fa affermare, alla fine del libro, che vale la pena leggerlo... anche se non lo consiglierei a chi magari predilige cose meno impegnative.
... Dimenticavo: è proprio la convinzione di Charles di aver fatto ciò che andava fatto a spingerlo ossessivamente a scegliere il giudice come suo interlocutore, affinché almeno lui sappia...
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Cristina72
20 Febbraio, 2014
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Stiamo pur sempre parlando del discutibile punto di vista di una mente psicotica, ma non avendolo ancora letto sospendo il giudizio.
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gracy
21 Febbraio, 2014
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Si..concordo con la tua analisi, ho letto il libro e penso che sia questo il concetto fondamentale...e poi come diceva Chandler " Non si può scrivere il noir perfetto, Bisogna sempre sacrificare qualcosa."
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