Dettagli Recensione
Joyland
Anche con il pilota automatico, il Re sa farsi leggere. Sullo sfondo di una storia gialla con solo qualche tocco di soprannaturale, l’autore del Maine riprende qui uno dei suoi temi preferiti ovvero quello del passaggio da un’età all’altra, di preferenza tra la giovinezza e l’essere adulti (che è esattamente quel che capita al protagonista Devin Jones) e lo ambienta nel mondo dei parchi di divertimento nella prima parte degli anni Settanta. Come spesso accade, quella che dovrebbe essere la trama principale finisce in secondo piano a favore dei turbamenti del giovane Jones e alla descrizione di un mondo (quello dei parchi) in via di sparizione: attraverso l’estate lavorativa di Devin e dei suoi amici Tom ed Erin a Joyland, l’autore si diverte a dar vita a un piccolo universo tra giostre, montagne russe, tirassegni e attrazioni varie inventandosi addirittura un linguaggio apposito (sulla cui resa in italiano si potrebbe discutere). Durante questo periodo, il ragazzo si appassiona alla vicenda di una giovane uccisa nel Castello del Brivido il cui assassino non è masi stato scoperto, lasciandone lo sconsolato spettro a vagare nel Castello medesimo: riuscirà infine a risolvere il mistero con l’aiuto di un ragazzino storpio ma dotato di aura (già sentita questa, eh?) e della di lui fighissima madre. Il rapporto con Mike e Annie si concentra soprattutto nell’ultimo terzo di libro, che è anche la parte più debole (ma si sa che è un vecchio difetto): le due figure sono parecchio stereotipate e se Devin non finisse a letto con lei ci verrebbero risparmiate una decina tra le più inutili pagine mai scritte da King. A proposito di pagine: l’edizione italiana risulta inutilmente gonfiata, tra caratteri molto grandi e interlinee esagerate, forse per arrivare a quota duecentocinquanta e giustificare il prezzo di copertina. Tornando al contenuto, va detto che – al netto dei difetti sopra elencati – ‘Joyland’ resta una lettura che sa coinvolgere, grazie soprattutto alla capacità dell’autore di costruire un microcosmo ben definito in cui si muovono figure che, a parte le due di cui sopra, hanno una propria precisa fisionomia. Il parco è delineato con precisione e più di una punta di nostalgia (come già accennato, simili attrazioni erano ormai a fine corsa nel periodo in cui è ambientato il romanzo) e le angosce – soprattutto sentimentali – del protagonista sono riportate con la consueta, divertita partecipazione: questo, assieme al vago alone di mistero che aleggia sin da subito (grazie anche a un’altra specialità della casa come i flash-forward) porta il lettore a trasferirsi sulla costa della Carolina del Nord e a girare le pagine. Insomma, anche se questa volta la ciambella non è venuta proprio con il buco, l’impasto è più che apprezzabile e la soddisfazione comunque garantita.