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Il caso Collini
Seguendo le notizie riguardo la morte di Erich Priebke ho letto questo romanzo che già da tempo mi incuriosiva e nel quale ad un certo punto si parla proprio di rappresaglie e anche delle fosse Ardeatine. E’ un legal thriller scritto da un avvocato penalista tedesco, Ferdinand von Schirac, e racconta la storia di un omicidio tanto efferato quanto inspiegabile. Innanzi tutto è anomala l’età del morto (85 anni) ma anche quella dell’assassino (64 anni)che si chiama Fabrizio Collini, emigrato italiano ormai in pensione.
Cosa ha spinto un tranquillo pensionato ad uccidere uno degli uomini più ricchi ed influenti di Germania, quell’Hans Meyer proprietario di industrie automobilistiche e persona stimata? L’avvocato difensore di Collini è un giovane avvocato alle prime armi, Casper Leinen, che però è stato anche un pupillo della vittima. Il giovane penalista si trova davanti un muro di silenzio perché Collini si ritiene colpevole dell’omicidio ma non vuole assolutamente parlare del movente. Ovviamente Leinen ne verrà a capo ma la risposta porterà tanto dolore e disinganno. Perché disinganno? Perché in realtà il libro, al di là della storia in sé, affronta un tema che ancora oggi non è stato adeguatamente trattato e/o superato: come si debbano giudicare i crimini avvenuti nella Seconda guerra Mondiale e soprattutto come deve essere giudicata la colpa di quelli che questi crimini hanno perpetrato. In realtà a seconda delle epoche storiche (anni 50, 60, ecc.)la percezione dei crimini e la loro gravità hanno avuto diverse interpretazioni quasi mai univoche e quasi sempre ipocrite. Nel caso della legislazione tedesca trattata in questo romanzo fu varata nel 1968 una legge che nella distrazione generale portò in realtà ad un’amnistia generale, mascherata da prescrizione del reato, della maggior parte dei crimini avvenuti durante il regime nazista. Il promulgatore di questa legge fu Eduard Dreher, fine legislatore e pezzo grosso del Ministero della Giustizia, che era stato un procuratore nel Terzo Reich presso il tribunale di Innsbruck. Da qui il disinganno nei confronti di un parlamento, di una legislazione nazionale ed internazionale che non sono riusciti a fare i conti col passato. Il romanzo è molto “tedesco” cioè scritto in maniera chiara, lineare ma non è un romanzo semplice; molto bella è la domanda che Johanna, nipote di Meyer, pone a Leinen nel finale del libro: “Sono anch’io tutto questo?” che in realtà credo sia la domanda che si pongono tutti i tedeschi (ma anche molti italiani)che sentono una qualche responsabilità storica per quello che successe in quei tristi anni.
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Bravissima!
Pia