Dettagli Recensione
Aristotele e i veleni di Atene
Benché uscito in una collana chiamata ‘Noir nella storia’, va detto innanzitutto che questo libro non è un noir, bensi un giallo d’impianto convenzionale, costruito com’è sulla ricerca del colpevole di una morte all’apparenza inesplicabile. Su un totale di più di quattrocento pagine, però, la parte investigativa occupa all’incirca tra un terzo e la metà dello spazio complessivo: il resto è dedicato invece agli usi e costumi dell’antica Grecia, con una minuziosità in cui l’autrice sembra dare sfogo alla propria conoscenza e alla propria passione per la classicità. Solo per fare un esempio, l’intero secondo capitolo è occupato da una lunga discussione, del tutto superflua per lo sviluppo complessivo e ambientata al Liceo, in cui si valutano le varie forme di governo della polis, ma non da meno sono le descrizioni dei processi all’Areopago o delle digressioni rurali del co-protagonista Stefanos. Il problema, al tirar delle somme, è che queste parti finiscono per essere le più interessanti in confronto di uno svolgimento giallo che, sebbene ben costruito a livello di intreccio, soffre un po’ il fatto di essere dapprima troppo diluito e poi, quando diviene inevitabile stringere, per colpa di uno svolgersi dei fatti che, proprio nel momento-clou, non è pienamente verosimile. Il giudizio complessivo non può inoltre beneficiare del fatto che alcune figure siano superflue - come la spia Archia, la cui unica utilità potrebbe essere quella di rappresentare in qualche modo il controllo macedone su Atene – e che più di un segmento sia troppo ingombrante, a partire da quello riguardante il processo a Frine, ma forse il problema più grave è proprio il personaggio attorno al quale tutto dovrebbe ruotare. Aristotele risulta poco caratterizzato e perciò la sua presenza come detective finisce per essere assai diafana: il filosofo non mette in mostra segni particolari o tic che lo rendano memorabile e conduce l’indagine in modo tradizionale e senza guizzi di sorta, magari legati al suo pensiero. In poche parole, al suo posto ci potrebbe essere chiunque, a partire dal narratore in prima persona Stefanos che meriterebbe di essere il protagonista principale per curiosità e intraprendenza, invece di avere il ruolo di un seppur attivo Watson con tutti i diritti di cittadino ateniese (cosa che il Maestro del Liceo non è, il che lo limita assai nei movimenti). Siccome questo è il sesto volume scritto da Doody con gli stessi personaggi, può darsi che sia io a non esser riuscito a sintonizzarmi sulla giusta lunghezza d’onda, ma questo romanzo non pare essere nulla più di una lettura da ombrellone per appassionati della Grecia classica, oltretutto non aiutato da qualche errore di traduzione e da una discutibile resa dei nomi greci.