Dettagli Recensione
La verità mi fa male, lo so
“Un bel libro, Marcus, è un libro che dispiace aver finito”
Joel Dicker sembra come quegli alunni che potrebbero fare di più a scuola. Ha le capacità ma non si impegna abbastanza. Oppure come quelli che, pur impegnandosi al massimo, non riescono ad andare oltre la sufficienza. A fine anno sono comunque promossi, riescono in un modo o nell'altro a spuntarla.
Ha scritto un libro che è un giallo, ma non lo è davvero, è scritto bene, anche se non in tutte le pagine, parla di amicizia, di amore per la letteratura, passione per la scrittura, ma è come se questo argomento lo leggessi in un articolo scritto in una di quelle riviste patinate, che trovi quasi per caso mentre sei seduto nella sala d’aspetto del dentista.
La sensazione di “vorrei ma non posso” ti accompagna per tutte le settecento e passa pagine, mentre leggi la storia di Marcus Goldman, giovane scrittore di successo, incapace di iniziare il suo secondo libro, che va ad Aurora, paesino nel New Hampshire, a trovare l'anziano amico Harry Quebert, scrittore anche lui, e soprattutto suo maestro, per ritrovare l’ispirazione, prima che l’editore gli faccia causa.
Harry però ha un segreto che custodisce da tanti anni, l’amore per Nola, bellissima ragazza di 15 anni, ma soprattutto molto Lolita, che lui ha amato di nascosto e che lo ha fatto diventare il grande scrittore che è. Nola è sparita tanti anni prima e non è più tornata, che fine avrà fatto? Harry l'ha cercata per anni decidendo di rimanere sempre ad Aurora ad aspettarla, finché il corpo di Nola non viene ritrovato sepolto, proprio nel giardino di casa sua. A Marcus, appena giunto ad Aurora, non resta che iniziare le indagini per conto proprio per salvare la vita al suo amico e mentore, per lui ingiustamente accusato di un omicidio, che non può avere assolutamente commesso.
Cosa c’è davvero in questo libro? E questo forse è il vero mistero, perché alla fine non si capisce bene se Nola è la Lolita di Nabokov o di Kubrick, non si comprende perché le atmosfere di Aurora e del New Hamphire nel 1975 ti sembrano tanto gli “Happy Days” di Fonzie e Richie Cunningham, e soprattutto, non sai decidere se i dialoghi sono davvero così profondi o piuttosto stiamo visitando la fiera dell’ovvietà.
E alla fine (della fiera), forse non è proprio vero che Joel Dicker potrebbe fare di meglio, molto probabilmente invece ha dato invece il meglio di se scrivendo un libro con una trama progettata a regola d’arte, che inizia sviluppandosi subito bene, magari dopo un po’ si attorciglia e si incasina sballottandoti qua e là, ma poi ti trascina come un fiume in piena, fino alla roboante, ed ovvia, soluzione finale (una tra le più ovvie, via).
Joel Dicker non è italiano, ma di Ginevra, eppure mi ha fatto rivivere una sorta di effetto Sanremo, non la bellissima cittadina ligure, ma la kermesse televisivo-canora, che cerchi di evitare fino alla fine, ma che ti ritrovi a seguire proprio nella serata conclusiva, tifando e sperando nella vittoria della tua canzone preferita.
La verità sul caso Harry Quebert? Ma è proprio necessario scoprirla? Se avete tempo e voglia, perché no?
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