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John Coffey era un gigante
No, non ho visto il film, ma quando sono arrivata alle ultime pagine ho aperto youtube per spiare i volti cinematografici dei personaggi di questo splendido dramma di amore, morte, ingiustizia e prigionia. John Coffey era perfetto.
King e Philip Dick, il grande autore di fantascienza, hanno qualcosa in comune: il talento nel creare personaggi fantastici più umani dell’umano. John Coffey, l’enorme guaritore nero e candido, mi ricorda un personaggio di un racconto di Dick, che non pensava perché non ne aveva bisogno: i suoi occhi vedevano il futuro, cose che noi ovviamente non possiamo immaginare. Coffey pensa poco e non riesce nemmeno ad allacciarsi le scarpe perché non soltanto sente, vede e legge il dolore e la malattia degli uomini, ma riesce ad assorbire queste orribili scorie come una spugna.
Coffey è un guaritore, un dono di un Dio, un angelo innocente: per questo l’hanno rinchiuso nel braccio della morte. Passa il suo tempo a piangere, non per la condannae, la morte è ciò che vuole, ma perché il suo dono straordinario lo costringe a sentire non soltanto il dolore, ma anche la cattiveria degli uomini e l’ingiustizia della condizione umana. Come l’occhio alieno, la visione dell’angelo guaritore è rivelatrice, desolante, spaventosa. Sì, esiste l’amore, ma i cattivi lo usano per uccidere e torturare gli innocenti.
“È così che va tutti i giorni. In tutto il mondo.”
Il dono di Dio muore nel novembre 1932 tra le braccia di Old Sparky, una vecchia sedia elettrica dal nomignolo terrificante e bonario. Intorno a lui e alla voce narrante vaga una girandola di personaggi che incarnano l’umanità di ogni tempo e l’America razzista e afflitta dalla crisi di quegli anni. Ma oltre il dolore e la cattiveria, l’affresco di King lascia spazio anche alla speranza, ai miracoli, alle piccole gioie incarnate da uno dei suoi personaggi più grandiosi: il signor Jingles, topolino giocoliere che ammaestra gli uomini e, anche se finisce sotto gli stivali del cattivo di turno, riesce a risorgere dalla morte zoppicante, ma con la stessa voglia di correre dietro al suo rocchetto.
Il ritmo, scandito dai rimandi dickensiani della narrazione a puntate, avvince come un valzer, scandito da ritorni e sorprese. Il protagonista ha superato il secolo di età per raccontare fino in fondo una storia che non poteva rimanere nascosta. La pena di morte è assurda, ma il miglio verde aspetta tutti noi, quindi è meglio aiutarci a vicenda, ad alzarci e a proseguire il cammino.
“Fragili come vetro siamo noi, anche nelle condizioni migliori. Ammazzarci l’un l’altro con il gas e l’elettricità e a sangue freddo? Che follia. Che orrore.”
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Vedro' di rubarglielo appena possibile:-)
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