Dettagli Recensione
Delusione
Ci sono certi autori che per sentirsi realizzati devono scrivere di avventure mirabolanti, imprese epiche e gesta eroiche. Poi ce ne sono altri come Fred Vargas che scrivono la quotidianità, i piccoli e grandi problemi della vita di ogni giorno, il disincantato realismo dell'uomo medio e il tutto lo fanno in maniera semplice, pulita e lineare. Qui il protagonista, il commissario Adamsberg, un uomo come tanti che per modi di fare e carattere sembra più avere dell'anti - eroe che dell' eroe, è alle prese con un caso fatto su misura per lui, concreto, realistico, la cui risoluzione non comporterà certo particolari colpi di scena, non cambierà certo la vita dei Parigini e tanto meno la sua, e lui è l’uomo giusto per questo caso poiché è il prodotto della normalità che combatte l’eccezione dentro d’essa. L’uomo giusto, dunque, per il caso giusto, nel romanzo giusto e tutto sembra filare liscio fino in fondo, normale, senza alti ne bassi, e così del resto deve essere poiché se un romanzo di questo genere trascende anche solo per un istante la realtà, fa perdere di credibilità all'intera vicenda, se offusca la centralità degli attori attorno ai quali si svolge la trama perde di sostanza. Qui comunque non accade, anzi, tra un dialogo e l’altro, tra un’ indagine e l’altra, si riesce a intuire addirittura una certa profondità psicologica nei personaggi, una profondità assolutamente degna di nota in questo genere di narrativa, tanto che si potrebbe persino dire che non è tanto la vicenda in sé, il mistero dei cerchi azzurri a cui rimanda il titolo, l’elemento essenziale della trama, quanto le vite dei protagonisti e di tutti coloro che bene o male sono coinvolti nell’indagine.
Si potrebbe credere quindi che per certi aspetti si sia di fronte ad un romanzo inaspettatamente controcorrente, anticonformista pur nella sua normalità, e poiché, come in ogni forma d’arte così anche nella letteratura, le novità sono inizialmente bene accette in quanto tali (onde produrre quella continua evoluzione del gusto e dei costumi tipici della storia dell’uomo) questa sorta di appena accennata introspezione si potrebbe anche credere che sia quanto mai degna di lode… peccato solo che poi nel finale la vicenda ritorni in primo piano assoggettando l'uomo medio del testo alla sua piatta banalità, e l’etichetta narrativa affibbiata dalla critica all’autrice venga rispolverata (per mancanza di coraggio da parte di quest’ultima) forzando il reinserimento dell’ opera dentro le canoniche fila del poliziesco. E questo è un autogoal per la scrittrice francese poiché se un romanzo “interdimensionale” dava adito alla liceità di un finale aperto, un giallo al contrario deve essere rigoroso sotto tutti i punti di vista, a cominciare dalla soluzione del caso, dalla spiegazione del movente che ha spinto il colpevole a compiere tal crimine e a comportarsi in tal modo invece che in tal’altro, e questa spiegazione deve essere per giunta totalmente plausibile, altrimenti tutto il lavoro perde di senso. L’autrice ne “L’uomo dei cerchi azzurri” non ci riesce a trovare questa spiegazione, forse non è capace, ed costretta a far terminare l'indagine in maniera cosi grottesca, improbabile e demenziale che sembra stia prendendo in giro non solo i lettori, ma anche se stessa, non solo chiunque abbia seguito con coinvolgimento l’intera vicenda, ma anche il lettore occasionale che scorgendo un finale così poco credibile stenta a comprendere il significato logico dell’intero romanzo. Peccato, ore buttate.