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Lunga vita al RE
"Erano ragionamenti stupidi ed immaturi, le fantasie di un ragazzo con troppa immaginazione e il cuore spezzato... O almeno me la racconto così dopo un bel po' di anni, ma chi può dirlo? Quando c'è in ballo il passato, tutti diventiamo romanzieri."
Joyland è il mio secondo approccio (e mezzo) con il RE, Stephen King; il primo l’ho avuto con “Dolores Claiborne”, il “mezzo” con “La bambina che amava Tom Gordon” (libro che devo ancora terminare). So bene che devo farmi una cultura su King, ma diciamo che prediligendo i classici, non ho mai avuto l’occasione di inoltrarmi in romanzi come It, Shining o Misery, per dirne alcuni, ma li voglio leggere, anche se conto di farlo in orari con parecchia luce.
Joyland, è una sorta di giallo anche se, come è giusto che sia per King, ha anche delle piccole sfumature horror, sfumature per le quali, ho avuto il timore di alzarmi dal letto la notte, era come se mi sentissi "osservata".
La storia, ambientata nei primi anni settanta, viene narrata in prima persona dal protagonista, Davin Jones per cui lascia poco spazio all’immaginazione sulla sorte dello studente universitario, alle prese con la prima delusione d’amore e con un nuovo incarico presso Joyland, un luna park ubicato nella Carolina del Nord, proprio affacciato sull’oceano atlantico.
Attraverso un non troppo anziano “Jonesy”, così rinominato da alcuni membri dello staff di Joyland (ma anche Bamboccio), veniamo alla conoscenza di altri personaggi più o meno piacevoli; il mio preferito è senza dubbio Mike Ross, ragazzino debole nel fisico ma con un cuore talmente grande, da riuscire a riscaldare anche quello della sua stessa madre, fredda come un ghiacciolo; il meno piacevole? Difficile dirlo, perché in realtà i personaggi sono stati creati tutti ad hoc, con un loro carattere più o meno approfondito; a dire il vero, avrei preferito che alcuni fossero stati descritti più ampliamente, tipo Fortuna la veggente, che a tratti mi ha ricordato la Cooman (temo che vedrò una Cooman in ogni libro a venire, ove sia presente una veggente) e a proposito di Cooman, fa piacere leggere che King, abbia inserito alcune righe dedicate al mondo di Hogwarts, senza contare il fatto che Davin, durante la storia, è alle prese con la lettura del capolavoro di Tolkien, “Il signore degli anelli”.
Cosa ho apprezzato molto in questo romanzo? I ricordi. Già, proprio loro, gli onnipresenti simboli vitali della vita di ognuno. Cosa saremmo, tra l’altro senza essi? Forse niente.
Dav, ci racconta i suoi ventuno anni attraverso gli occhi di un uomo che non riesce a staccarsi dal passato, soprattutto da quel passato il quale, tra profumi e balocchi, mi ha fatto tornare alla mente un certo luna park oramai in disuso a Roma, il Luneur, con i suoi cavalli, i suoi tiro a segno e la sua casa dell’orrore e chissà se, come è scritto nel libro, “Non esiste parco divertimenti degno di questo nome senza un fantasma.”
Un’altra cosa che ho ammirato nella trama, è l’amore che la fa da padrone, ma non solo quello tra due amanti, ma anche quella di una madre verso un figlio o di un proprietario di novant’anni verso il suo parco giochi o semplicemente di Davin verso i suoi ricordi.
Le sfaccettature racchiuse in queste pagine sono molte, si sorride, si pensa, si soffre e, anche, si piange, quindi sicuramente non ci si annoia mai, anche se gli amanti dell’horror potrebbero non apprezzare a pieno il fatto che i momenti di suspance siano pochi (magari abituati ad opere come It, potrebbero rimanere delusi), ma le pagine scorrono velocemente, la storia prende ed è difficile trovare il coraggio di chiudere il libro, o perlomeno, per me è stato così.
Concludo scrivendo che lo consiglio certamente anche a chi, come me, non ha una grande cultura su King, ma d'altronde se è il RE, non sarà certo solo per il cognome. ;)
Buona lettura a tutti.
Alla prossima.
Q.
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Commenti
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Grazie mille. Sì, direi che le ore pasti siano le migliori, dovrei iniziare Shining ma non trovo il coraggio. >_
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E mi piace altrettanto Re Stefano, ma come te solo ore pasti ;)
Valentina