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La verità sul caso Harry Quebert
 
La verità sul caso Harry Quebert 2013-06-05 16:06:20 Maso
Voto medio 
 
3.3
Stile 
 
2.0
Contenuto 
 
3.0
Piacevolezza 
 
4.0
Maso Opinione inserita da Maso    05 Giugno, 2013
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Un thriller in potenza

Io non sono uno scrittore, e nemmeno un critico letterario, perciò mi faccio delle domande, mi dò delle risposte e tento di costruire delle ipotesi che mi aiutino a comprendere un libro e cosa vi sia dietro. La prima tra queste è in realtà una facile considerazione: Joel Dicker è uno scrittore molto giovane, e questo, innegabilmente, si percepisce durante la lettura. Giovane non perché i suoi personaggi usino Facebook o facciano le foto col telefonino, quanto perché mi sembra evidente che sia ancora in fase di rodaggio, in un momento decisivo per scoprire uno stile personale e una capacità di costruzione che resista anche agli occhi del lettore più critico, come tutti i thriller rispettabili che vengono pubblicati. Lungi da me il volermi mettere contro tutto il plebiscito dei lettori francesi, che hanno fatto di questo romanzo un caso letterario, trovo però inevitabile una buona dose di osservazioni che mettano in mostra un talento promettente che, sfortunatamente, si inceppa su più punti cruciali.

Prima del dettaglio, però, la trama. Marcus Goldman è un giovane scrittore che, dopo essere diventato una star milionaria agli occhi dell’America, per un esordio letterario sfolgorante, si trova completamente bloccato e privo di ispirazione. La scadenza per la consegna del nuovo romanzo si avvicina e le parole non vengono. Nel medesimo tempo accade un fatto sconvolgente. Harry Quebert, uno dei più grandi scrittori americani contemporanei, nel contesto immaginato da Dicker, è tutt’a un tratto sospettato di aver commesso un crimine, l’uccisione di una quindicenne, Nola Kellergan, avvenuta trentatrè anni prima. La stessa quindicenne con cui, a trentaquattro anni, ebbe una folle, quanto inopportuna, relazione in un’estate del 1975, relazione che, all’insaputa di tutto il continente, ispirò il suo romanzo di più grande successo, “Le origini del male”. Marcus Goldman si reca ad Aurora, un paesino marittimo sulla costa del New Hapshire per sostenere l’innocenza di Harry Quebert, suo amatissimo ex professore universitario che aveva ricoperto la figura di mentore, padre adottivo e amico. Una guida spirituale che, in una sorta di passaggio di consegne, ha educato il giovane Marcus alla fine arte della letteratura facendo di lui lo scrittore di grido del nuovo millennio, esattamente come lui lo era stato di quello trascorso. Sostanzialmente di questo si tratta. Il seguito è facilmente immaginabile. Il giovane Marcus inizia con le sue indagini private per scagionare l’amico, in carcere e con l’ombra della pena di morte sulle spalle.

Le premesse per qualcosa di interessante ci sono tutte in questo romanzo, che infatti parte bene, graduale e gradevole. Uno dei suddetti punti cruciali su cui si inceppa l’autore è sicuramente quello dei dialoghi. Alcuni sono esageratamente inverosimili e provengono da personaggi altrettanto inverosimilmente progettati, troppo caricaturali, troppo stereotipati e inquadrati in vesti adatte ad una commedia hollywoodiana. La madre di Marcus Golberg, benché un personaggio secondario e irrilevante ai fini della storia, è l’emblema di tutto quello che, secondo me, non dovrebbe essere fatto da un giovane autore che decide di scrivere un thriller. L’estrema premurosità, ottusa e bimbesca, della signora Golberg nei confronti del figlio risulta ridondante e incommensurabilmente falsa scaturendo da una penna con poca gavetta, apparendo infantile non per scelta ma per mancanza d’altro. Essa, inoltre, appartiene omogeneamente all’insieme delle altre protagoniste femminili del romanzo, le quali, in una semplificazione non troppo lusinghiera per il gentil sesso, appaiono tutte maniacalmente interessate all’accasarsi. Si tratta certo degli anni settanta, ma non per questo il cliché deve imperare. L’analisi dei personaggi/parodia potrebbe continuare ancora per molto, ma concludo parlando del sergente Gahalowood, incaricato delle indagini ufficiali sul delitto, con cui Marcus si troverà a collaborare. Ora, come è possibile che un sottoposto con poteri e pareri limitati, nonché funzionario dell’ordine pubblico, si permetta di utilizzare un linguaggio ai limiti della decenza e a trattare tutti a pesci in faccia? In qualsiasi luogo si trovi, questo personaggio, delegato alla manifestazione della rettitudine, parla una lingua di soli improperi assolutamente non credibile, e dal nulla si trasforma drammaticamente, nella seconda metà del libro, come il grande, nuovo “amicone” del protagonista. Un atteggiamento incomprensibile.
Mi si perdoni la puntigliosità, ma i personaggi di questo romanzo non sono tanti e se molti di questi sono connotati in modo tremendamente inopportuno è la stessa struttura narrativa a risentirne. La ciliegina sulla torta che corona quelli che sono, secondo il sottoscritto, i punti deboli del libro è quella che riguarda i dialoghi e le scene amorose tra il giovane Harry e Nola, evocati tramite numerosi flashback. Francamente scontati, mielosi e privi di un minimo di piglio contemporaneo.
In ultimo, il colpo di scena, il grande “MA”.Questo libro, dopo tanta critica, merita di essere salvato. Sia ai miei occhi, sia a quelli di tutti quelli che leggono e che non devono farsi preconcetti. Perché in fondo si legge molto bene, scorre veloce e mantiene comunque un ritmo che permette di rimanere avviluppati nei meandri sempre più oscuri di una storia bipolare. Con un suo lato luminoso, quello delle ariose spiagge affacciate sull’oceano, sulle quali si consuma una storia d’amore senza confini di età, estrazione sociale e ipocriti perbenismi. Con un suo lato oscuro, quello dei boschi più cupi che accolgono in seno la fuga di una ragazzina, che scappa da un mondo che non si è risparmiato di ferirla nell’animo. E’ un romanzo che, nonostante i propri difetti, tenta a suo modo di porsi con obiettività di fronte ad una tematica che trent’anni fa suscitava scalpore, un tabù, quello della differenza d’età nelle relazioni amorose, che si è parzialmente risolto con l’evolversi dei tempi, i quali si dimostrano indulgenti verso tali scelte compiute bilateralmente e in buona fede. E tenta inoltre di riflettere (lungamente, a dire il vero) sul mestiere dello scrittore, che, come tanti altri mestieri che mettono in campo la fantasia e la creatività umana, rischia sempre di più di perdere quel suo lato puro e genuino di forza espressiva, schiacciato dalle speculazioni e dalle pressioni della statistica del soldo.
L’ironia della sorte ha voluto che questo romanzo diventasse un caso editoriale, esattamente nello stesso modo dell’esordio di Marcus Goldman. Non ci è dato sapere se questo particolare indichi la possibilità di qualche accenno autobiografico da parte di Dicker. Quello che sappiamo è che di questo autore ne sentiremo parlare ancora, e avremo forse la fortuna di vedere un sempre migliore risultato sotto gli occhi.

P.S. Al traduttore: “Ordinai una pizza e la mangiai in terrazza”? Ma per piacere.

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Ieri ero quasi intenzionata a prenderlo, poi ho letto l'incipit e come faccio sempre quando non mi convince l'ho rimesso al suo posto. Ora leggo la tua opinione e credo che rimarrà su quello scaffale.
Mephixto
05 Giugno, 2013
Ultimo aggiornamento:
05 Giugno, 2013
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Ciao bellissima recensione, forse un pochino prolissa. Non averne a male . Concordo con te su quasi tutto, forse la mia fortuna è che mi piace questa trama tra commedia, noir e thriller !
Ogni tanto è bello leggere un testo con leggerezza.
Sul fatto che sia un caso editoriale credo sia più dovuto al fatto che la gente ormai è molto condizionata dal cinema e questo stile letterario lo rende più affine e avvicinabile dal grande pubblico.
Complimenti ancora per la tua recensione ben motivata ,bravissimo.
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Maso
05 Giugno, 2013
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Credimi, ho impiegato più tempo a cercare di tagliarla che a scriverla :-( Sono un caso clinico! Comunque grazie..e concordo con te, si tratta di un libro di facile trasposizione, credo che non ci toccherà aspettar tanto per vedere la locandina da qualche parte!
Io non l'avrei preso proprio Francesco!! Dopo Jean-Christophe Grangé ("Ho l'impero dei lupi" da leggere e non so se accadrà...) e l'ombroso Claudel Philippe, con i "thrilleristi" francesi non c'è feeling.......Tuttavia la piacevolezza infine l'hai premiata :))
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Maso
06 Giugno, 2013
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Si dai, il facile intrattenimento meritava di essere sottolineato, proprio per non stroncarlo del tutto...comunque anche io non ho un buon rapporto col genere, l'unico che ricordo di aver apprezzato è "L'assoluta perfezione del crimine" di Tanguy Viel, è un noir abbastanza godibile. E anche Viel è un autore giovane, che senza troppa presunzione ha sfornato qualche romanzetto carino :-)
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gracy
06 Giugno, 2013
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Interessante segnalazione Francesco...questo noir non lo conoscevo. Mi informo...
Ho letto gli agghiaccianti Pascal Francaix e Yann Queffélec...molto noir e naturalmente Izzo....avrò letto altri francesi noir, ma non ricordo i nomi...
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gracy
06 Giugno, 2013
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Tanguy Viel ho visto che è edito Neri Pozza...interessante!
L'ho finito di leggere ieri e devo dire che mi trovi d'accordo con tutto quello che hai scritto, ma in fondo (come dici tu) è il suo primo romanzo e le basi sono davvero buone, quindi sono curiosa di leggere il prossimo, che, spero non si farà attendere troppo...
Il libro mi ha coinvolto molto, e la storia è bella e "oscura" e indubbiamente incuriosisce il lettore fino alla fine, anche se, a mio parere l'ha tirata troppo per le lunghe....
La cosa che mi ha sconcertato di piu' è la disponibilità di tutti i personaggi a parlare con Marcus e farlo partecipe delle indagini come se fosse la cosa piu' naturale del mondo....
cmq io lo consiglio ...
Appena terminata la lettura capisco che ci sono delle cose che non quadrano, che non tornano. In particolare: se la madre è morta anni prima, come fa a dire all'amica di Nola, che la cerca a casa nella settimana della sua assenza, che la figlia è malata?! La trama è bella, avvincente, il problema riguarda la scrittura e i dialoghi "assurdi" che mai si potrebbero verificare nella realtà.
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Maso
25 Luglio, 2013
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Oltre ad alcune discrepanze, io credo che la cosa che mi abbia in assoluto dato più fastidio sia la madre di Marcus. E' un personaggio da cartone animato, lo stereotipo della madre apprensiva. E' stata dipinta come una donna dall'eloquio troppo stupido e infantile per avere un minimo di credibilità...dopo alcuni mesi passati dalla lettura mi ricordo ancora alcuni dei suoi dialoghi, pensa te :-)
Come dice blackdahlia1972, aspettiamo il prossimo e speriamo in meglio!
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