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Il superstite - Commento di Bruno E.
“Il superstite” di Wulf Dorn, che ha esordito con “La psichiatra”, è Jan Forstner, che vedremo protagonista anche della terza fatica dell’autore tedesco (“Follia profonda”).
“Non è forse diventato lei stesso psichiatra proprio per questo? Voleva aiutare gli altri, perché non è riuscito ad aiutare sua madre e voleva comprendere gli altri, perché non è riuscito a comprendere il colpevole che ha scatenato tutto quel male su di lei e sulla sua famiglia”.
In questo romanzo Jan è impegnato a ricomporre i cocci della plurima tragedia familiare che l’ha travolto (la scomparsa del fratellino Sven, l’omicidio del padre e il suicidio della madre) e che si intreccia alla maledizione aleggiante su Fahlenberg (“Sa che le dico, dottor Forstner, da quando quella poveretta si è gettata dal ponte, sembra che tutta Fahlenberg abbia perso il senno”). La città immaginaria ospita la Waldklinik, che sembra il fulcro di tutti i misteri e che a Jan offre, nella persona del suo direttore, il professor Fleischer, un’imperdibile occasione professionale. E di riscatto.
Lo stesso Jan ha assistito, da piccolo, al suicidio di Alexandra e a quello spettacolarmente spaventoso di Nathalie Koppler, una sosia di Alexandra (“La somiglianza era più che incredibile … Jan avrebbe giurato che la foto ritraesse Alexandra …”). Perché un’ossessione è più sconcertante se viene accentuata da strane ricorrenze:
“Tu credi alle coincidenze, Jan”?
In preda agli incubi (“Stanotte hai gridato di nuovo”), lo psichiatra ricompone i propri rimorsi, i sensi di colpa e il complesso di Edipo grazie al collega Rauh, che crede nell’ipnoterapia. E la pratica anche con il collega-paziente.
Attraverso una serie di violenze e incidenti – troppi, forse troppi! – Jan ricompone i pezzi, anzi i frantumi, di una storia disseminata di demoni e fantasmi: siano essi mali sociali, malattie della mente, terribili reati (la pedofilia, i sospetti di abusi commessi nell’esercizio della professione medica, il rogo che si scatena nell’archivio della clinica) o personaggi controversi e spaventosi. Come alcuni pazienti dell’ospedale psichiatrico: su tutti, l’allucinata e profetica Sybille (“Sai che cosa significa questo nome?”) e il folle Alfred Wagner. O come il barbone Hubert Amstner, sospettato del rapimento di Sven.
Pur avvincente e sostenuto nella narrazione, questo thriller a parer mio è causa del suo stesso male, così sovraccarico di lutti e di scene d’effetto. Tenetene conto. Si potrà passare tranquillamente al terzo romanzo (“Follia profonda”), anche senza aver letto questo, che invece è consigliato – come lettura voluttuaria - a chi ama il thriller psicologico e i ritmi incalzanti al limite del delirio.
Bruno Elpis
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Commenti
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FOLLIA. PROFONDA e' meglio comunque, son d'accordo.
;-)
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:DD