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Uccellini, uccellacci...
“L’uccello del malaugurio” è a mio avviso il romanzo più sociologico fra quelli scritti da Camilla Lackberg. Se ne “La principessa di ghiaccio”, infatti, il tema portante era la pedofilia, ne “Il predicatore” e “Lo scalpellino” venivano descritte saghe familiari e delitti che affondavano in un passato remoto, qui si vuole porre l’accento sul presente. Fra tutte le dinamiche dominanti che affollano la nostra società post-moderna, due di esse rappresentano il filo conduttore dell’intera vicenda: l’alcoolismo e l’avvento dei reality show.
Le vicende si dipanano, infatti, proprio intorno ad una trasmissione televisiva in cui un gruppo di ragazzi – poco intelligenti e sicuramente volgari che ricordano tanto i tronisti della De Filippi – devono vivere e lavorare a contatto con la gente del paese. A guidarli, lo psicologo Lars, marito di una poliziotta appena giunta nell’ormai nota stazione di polizia di Fjallbacka (scusatemi qualora non si scrivesse così). Nello stesso periodo, una donna viene trovata morta al volante. Semplice incidente causato dall’ebbrezza, o c’è qualcos’altro dietro? In che modo si collegano le cose?
Come in tutti i romanzi della Lackberg, il ritmo procede serrato, gli indizi sono molti e il lettore deve stare sull’attenti per non perdere il filo. A distrarlo ci sono i numerosi intermezzi relativi alla vita privata dei protagonisti Erika e Patrick. Questi intermezzi sono sicuramente necessari per conferire un lato di umanità a tutta la vicenda e fidelizzare il lettore libro dopo libro, ma se si crea un abuso la narrazione viene rallentata. Si è curiosi di sapere come evolvono le indagini e ci si trova davanti a dieci pagine che descrivono la scelta di un abito da sposa: ma come? Proprio adesso no, ti prego! Questo è, a mio avviso, l’unico difetto del libro.
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