Dettagli Recensione
Vizio di forma
A volte non sembra neanche un libro di Pynchon, anche se è vero che possiamo trovarci: personaggi a bizzeffe con la tendenza a sparire per pagine su pagine e poi ritornare a sorpresa; le droghe che scorrono a fiumi, a parte eroina e cocaina un po’ in ombra le altre – che siano naturali o sintetiche – sono dispiegate in varia qualità e notevole quantità; una band di surf-music con membri intercambiabili e ugualmente fulminati che però pare non suonare mai; una sorta di Spectre le cui tracce saltano fuori inquietanti un po’ ovunque, contribuendo ad alimentare un’immancabile paranoia; persino l’immagine di un presidente degli Stati Uniti che, da una riproduzione ingrandita di un nichelino, inizia a dialogare col protagonista. Però l’andamento è lineare – per quanto possa esserlo un noir, la cui struttura è, per definizione, caratterizzata dal moltiplicarsi dei doppifondi – e anche la scrittura scorre veloce e senza particolari intoppi: del resto, la sintassi dei testi fondativi del genere è scarna e anche in questo aspetto si può scorgere il divertito omaggio dell’autore. Non manca neppure l’ambientazione losangelina, anche se la città della California è ritratta al tramonto dell’Estate dell’Amore, poco dopo i delitti della Famiglia di Manson, impegnata a fare i conti con l’assedio portato da smog e inquinamento. In essa si aggira il detective privato Doc Sportello, che ben presto si ritrova a seguire una traccia che prende le mosse con un piccolo omicidio e si va allargando, lambendo ambiti insospettabili (altro classico mica male): per farlo, il nostro rimbalza tra le mille figure di cui sopra come una pallina da flipper e riesce a procedere grazie a una combinazione variabile di doti investigative e di casualità. Di suo, il protagonista ci mette una confidenza con gli stupefacenti che lo lasciano in vari stadi di alterazione psichica: l’altro grande tema che caratterizza il romanzo è difatti l’elegia di un mondo hippy che sta ormai finendo, mentre sullo sfondo si profila la rigida figura di Ronald Reagan. Tra spinelli, sesso e lunghi viaggi da una parte all’altra della metropoli (oltre che una puntata a Las Vegas), Doc riesce in ogni caso a sbrogliare pian piano la matassa, rifuggendo la parte del vaso di coccio destinato a fracassarsi tra Dipartimento di Polizia (e i suoi poco raccomandabili contatti), federali e Spectre suddetta, la multiforme Golden Fang. Ovvero Zanna d’Oro, che si materializza vampiresca nei trip cattivi di Doc a testimoniare che Pynchon i nomi non li distribuisce mai a caso (fra i tanti, il mio preferito resta comunque ‘Eddie del piano di sotto’), come pure gli infiniti rimandi e citazioni: la versione ‘light’ dello scrittore di Glen Cove risulta non meno divertente e stimolante di quella presente nelle sue opere più complesse.