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Chi siamo, dove andiamo?
Un romanzo sull´Apocalisse come spunto per parlare della morte, della religione, del senso dello scorrere del tempo, della vita di tutti i giorni e delle priorità, reali o fittizie che siano.
In questo romanzo, Douglas Coupland tocca continuamente questi temi tramite i pensieri dei suoi quattro protagonisti.
Ognuno con un passato doloroso alle spalle, ciascuno che fatalmente si ritrova nel fatiscente cocktail bar di un aeroporto per cercare di dare la svolta definitiva alla propria vita.
Nel non-luogo per eccellenza, in cui queste vite si ritrovano sospese nel tempo come in un fermo immagine.
Molto interessante la modalità in cui il romanzo viene portato avanti: per singoli micro-capitoli, a soggetto, in cui ciascuno dei protagonisti racconta al proprio io ed al mondo (per come lo sta percependo in quel momento) quello che sta accadendo “fuori”.
Non solo: lo stesso fatto viene prima vissuto e narrato da un protagonista, poi nuovamente e parzialmente da un altro, dalla sua personale prospettiva, come in certi gialli in cui i protagonisti si raccontano quello che loro stavano facendo in quel preciso istante.
Un taglio quasi da regia televisiva per porre una serie di domande esistenziali, per cercare di trovare una risposta.
Romanzo che ho apprezzato moltissimo per lo stile, per l´idea, per la struttura psicologica dei quattro protagonisti, ciascuno creato con molta coerenza e molto ben delineato.
Me li vedevo davanti, sentivo quello che pensavano, potevo intuire quello che avrebbero – forse – provato emotivamente. Non c´è stato un personaggio che sia riuscito meglio o peggio di un altro, tutti mi sono risultati vivi e perfettamente umani nelle loro emozioni.
L´ho letto tutto d´un fiato e spero ci sarà un seguito, poiché la storia finisce li, ma volendo se ne potrebbe aprire una nuova – non ho idea se già esiste (o se esiterà) ma me lo auguro di cuore.
Unica pecca nella traduzione (o nel testo originale?): in moltissimi capitoli, nell´ambito della narrazione dello stesso personaggio, si passava improvvisamente dall´uso del tempo presente al passato remoto. Inizialmente ho pensato fosse una scelta stilistica, ma poi la sensazione che ho avuto è stata di una strana svista del traduttore o dello scrittore stesso.
Per il resto, perfetto.
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