Dettagli Recensione
Che pekkato Pekkala
Siamo di fronte ad uno di quei thriller “freddi”, ambientati nel nord Europa, precisamente nella Russia di Stalin. Protagonista della vicenda è Pekkala, un finlandese nato da famiglia finlandese, in terra finlandese ma sempre e per sempre di sangue Russo. Il padre, impresario di pompe funebri, destina proprio al corpo speciale finlandese di guardia personale dello zar il figlio maggiore, Anton, ritagliando invece per il figlio minore, Pekkala, il destino di perdurare il mestiere del padre.
Le cose però non andranno come il padre aveva desiderato. Ben presto sarà Pekkala a prendere il posto del fratello nel corpo speciale e sarà proprio durante l’addestramento che sarà notato dallo zar in persona.
Nel tempo lo zar si fiderà a tal punto di lui che gli donarà gli oneri e gli onori dell’”occhio dello zar”, ravvisando in Pekkala qualità straordinarie, non comuni, come se lo zar volesse personalizzare in lui il proprio sesto senso mancante. Sarà da quel momento la guardia personale della famiglia Romanov, avrà poteri e fiducia infiniti da parte dello zar.
Ma ben presto tutto finirà, per l’ennesima volta le cose andranno diversamente rispetto a come erano state pianificate. Lo zar e tutta la famiglia Romanov saranno uccisi. Da chi? Questo sarà l’interrogativo al quale anni dopo sarà chiamato ad indagare Pekkala. Un Pekkala diverso, cambiato dai tanti anni trascorsi in solitudine nell’oblio della fredda ed inospitale Siberia, prigioniero del gulag e del proprio fallimento come custode della famiglia reale.
A Pekkala sarà affiancato un ufficiale russo senza alcuna esperienza, Kirov, ed un altro personaggio, che ovviamente non svelo.
Mentre la storia si snoda, vengono intervallati capitoli completamente dedicati al passato di Pekkala, la storia della sua vita (scritta tra l’altro anche visivamente in corsivo) ci viene svelata mentre si sviluppa l’indagine e questo rende il romanzo fluente.
Ma ahimè assolutamente diverso il trasporto che lo scrittore usa nel narrare la vita dell’investigatore rispetto all’indagine stessa. Assai più travolgente leggere le parti scritte in “corsivo” rispetto a quelle scritte in “stampatello”, avrei preferito quasi lo scrittore avesse scelto di fare due romanzi distinti, proprio per sviluppare in maniera più esaustiva la figura dell’investigatore e poi da qui sviluppare successivamente il thriller. Evidentemente è un parere mio, dettato da gusti puramente personali, amo avere a che fare con personaggi delineati nella loro complessità morale e amorale, non mi piace troppo scontrarmi con personalità solamente abbozzate o ancora peggio con “macchiette”.
Dico “macchiette” perché in questo romanzo ho avuto la brutta sensazione di essermi imbattuta in una di queste. La figura di Kirov rappresentata tutti gli stereotipi dell’ufficiale rosso, senza alcuna competenza militare ma ritrovatosi ufficiale per una serie di coincidenze. Non mi è piaciuto, ritroviamo Kirov capace di gesti coraggiosi e significativi senza che lo scrittore ne renda il giusto spessore, un personaggio in bilico tra il sacro e il profano.
Dividerei comunque il romanzo in due parti distinte; la prima parte per me è stata assolutamente avvincente, ma la seconda parte è risultata troppo banale. Quest’ultima parte è ambientata a ho trovato scontate le vicende conclusive che ci portano alla soluzione del mistero. Inoltre non ho apprezzato i dialoghi presenti in questa seconda parte, secondo me troppo sciatti, privi del pathos che si ravvisa nella prima parte del libro, quasi come se i protagonisti fossero avulsi dalla vicenda narrata. Ho trovato anche fuori luogo alcune conversazioni frivole nel contesto in cui sono state inserite, come note stonate in una bellissima melodia, poiché l’idea del romanzo a me è piaciuta tanto.
Ciò che invece ho apprezzato nel romanzo è stata la delicatezza con la quale viene trattato il tema della fine della famiglia Romanov. Non vengono prese posizioni, lo scrittore non disquisisce sul fatto che l’omicidio sia stato più o meno “giusto”. Ma quella che viene messa in discussione è l’efferatezza dell’omicidio stesso e come sia stato straziante per un padre essere conscio che causa della morte dei propri figli sia il sangue che egli gli ha trasmesso. E come ogni libro che narri questi omicidi (in modo profano o meno) ci lascia la stessa domanda: è stato giusto sterminare tutta la famiglia Romanov? Quale colpa avevano i figli dello Zar?
Nel libro è chiara l’idea dello scrittore, ogni figura “reale” avrebbe rappresentato un pericolo per la nascente “monarchia del proletariato”, ma è stato proprio così?
Nel complesso non posso dare un voto totalmente negativo al romanzo, è una piacevole lettura, ma ho trovato tanti punti che non mi sono piaciuti. Ma che dire, forse questi miei dubbi sono dovuti al fatto che esistono dei seguiti a questo libro, e magari le lacune che ho ritrovato in questo romanzo saranno colmate leggendo gli ulteriori capitoli , per questo motivo sicuramente ne tenterò la lettura.
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