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L'impronta della volpe
“In questo paese roccioso e tormentato, tra pianure, falesie e altopiani, Pigui è un villaggio Dogon come altri.”
Moussa Konaté è uno scrittore africano contemporaneo, già noto in Francia per aver pubblicato i suoi polizieschi per la collana Série Noir della Gallimarde e che ha creato un personaggio davvero singolare, il commissario Habib, un uomo molto pacato, che si è istruito in occidente e che investe un po’ il ruolo del “commissario filosofo” e che condivide il suo lavoro assieme al suo fidato ispettore Sosso. Ho avuto modo di conoscere questo autore grazie ad un amico amante di questo genere letterario e molto legato all’Africa descritta da Konaté.
La scrittura è molto lineare e risente appieno della sua essenza africana, senza tanti fronzoli e senza tanti colpi di scena . Il commissario Habib e l’ispettore Cosso sono chiamati a svolgere le loro indagini presso alcuni villaggi costruiti con il fango a sud del fiume Niger, dove vive un popolo legato a tradizioni animistiche e a riti di divinazione e di magia, un compito assai arduo, perchè le prove scientifiche si scontreranno con le innumerevoli credenze ataviche. Si susseguono morti per difendere il proprio onore e decessi di giovani che non hanno resistito a vendere la propria terra per il dio denaro, contravvenendo alle tradizioni legate all’appartenenza di un popolo che riconosce la sua identità attraverso le impronte delle volpi indovini e gli incantatori di serpenti.
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