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"Il maestro" di Patterson
James Patterson è considerato “l’autore di thriller più venduto al mondo” e “Il maestro” è l’ultima delle sue (innumerevoli) fatiche, questa volta condivisa in un ‘quattro mani’ con Michael Ledwidge.
Protagonista del romanzo è ancora Michael Bennett, già interprete del precedente “Il negoziatore”: un detective che ha subito la perdita dell’amata moglie Maeve e si ritrova a fronteggiare – con l’aiuto di una ragazza alla pari, la efficace e provvidenziale Mary Catherine - una famiglia assai impegnativa perché composta da … ben dieci figli adottivi: tutti afflitti da una terribile sindrome influenzale.
Nella confusione di una vita familiare condannata all’emergenza, Michael deve fronteggiare un’altra emergenza che flagella New York: sulla scia della tradizione che James Patterson ci ha propinato sin dai suoi primi romanzi - come “Jack e Jill” - anche in quest’opera assistiamo a un numero elevatissimo di delitti, preferibilmente efferati e cruenti, che hanno l’esecutore nel crudelissimo “maestro”.
Nelle pagine che conducono a un concitato finale sui cieli della Grande Mela (ove ‘il buono e il cattivo’ combattono senza esclusione di colpi a bordo di un Cessna che rischia di rinnovare la tragedia dell’11 settembre, questa volta contro l’Empire State Building) il lettore si impegna, insieme a Bennett, a ricercare le cause di tanta follia.
Il maestro – così firma i suoi deliri il folle che crede di dover esercitare un ruolo educativo seminando la morte - è un personaggio composito: fischietta arie di Mozart, indossa abiti di Givenchy e scarpe di Prada, ha fascino da vendere. Inoltre è ben consapevole che “velocità e sorpresa erano fondamentali per il successo della sua missione. Doveva colpire come un cobra …” Usa “due pistole: una .45 e una .22. Una per mano, come Jessie James.” E, come molti killer di Patterson, è un abile trasformista: ogni suo “travestimento … trasudava ironia e simbolismo”. Si rivolge a uomini “non necessariamente senza cervello … (ma) ignoranti. Non istruiti.” E si annuncia con presentazioni del tipo: “In realtà sono qui per darle una lezione.”
Di lui lo psicopatologo criminale si è fatto questa idea: “Dall’attenzione per i dettagli dimostrata da questo individuo, credo di poter escludere che si tratti di un paranoide schizofrenico.”
La rudimentale dinamica psicologica del romanzo muove dalla certezza che “di solito erano due i fattori che mandavano la gente fuori di testa: divorzio e licenziamento.” Salvo sorprese, nello scoprire che il maestro “si nascondeva dietro un presunto trauma di guerra per giustificare la sua personalità”.
Dopo tale e tanta costruzione di personaggio, tuttavia, il lettore scopre che la motivazione alla radice degli obiettivi didascalici del maestro è piuttosto deludente: “Finalmente … poter scaricare il rancore accumulato in una vita intera! La gente aveva cercato di imbrogliarlo con la grande menzogna: che era tutto così bello, e che essere vivi era un privilegio.”
Romanzo troppo americano – per la radicale contrapposizione tra bene e male, per il trionfalismo del finale, per l’eccessiva spettacolarizzazione della vicenda – per i gusti casalinghi di …
… Bruno Elpis