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QUALCUNO DEVE PUR FARLO
Per calarsi nello spirito dei romanzi gialli di Mankell occorre avere davanti agli occhi il paesaggio della Scania, Svezia, luogo ideale, secondo le guide turistiche, per un gita in bicicletta: campi sterminati, colline ondulate, foreste e orizzonti liberi, l’idilliaco dono di madre Natura agli uomini. Ma a deturpare l’amenità del panorama è il male portato dagli uomini e proveniente dalle zone più lontane e meno civilizzate del pianeta, qui la Repubblica Dominicana, in altri romanzi il Sud Africa o la Lettonia. La pioggia e le tempeste di neve, compagnia costante delle inchieste del commissario Kurt Wallander, sono un segno dell’ira del cielo nei confronti ella bassezza umana: così ne “La falsa pista” la bellezza dell’estate scandinava fa da beffardo controconto alla tragedia che si svolge in terra. Un’adolescente dandosi fuoco trasforma in un inferno un campo di colza e da quale ancestrale universo viene nell’evoluta Europa del Nord un assassino scalzo che con una ascia scotenna e cava gli occhi alle sue vittime: che senso ha il suo arcaico rituale e cosa lega gli assassinati e le loro repellenti abitudini segrete? Un percorso tortuoso per raggiungere la verità: ogni indizio e ogni intuizione costituisce una trappola, una falsa pista appunto. Ma gli esiti sono scontati fin dalle prima pagina del romanzo: la scoperta del colpevole è in fondo un dettaglio irrilevante, rispetto all’atmosfera permeata dalla certezza che non ci sarà mai giustizia in nessun luogo. “Com’ è prendere un assassino” chiedono all’eroe di Mankell e lui ha la risposta pronta: “Freddo, grigio e miserabile” Egli sa che non ci saranno trofei da esibire nella sua lunga carriera: lo sa perché la sua esistenza è una sequela di conflitti irrisolti con la ex moglie, con la figlia, con il padre, con il proprio lavoro, appena mitigati dalla dolcezza comprensiva della senilità,.
L’esperienza amara ha tolto a Wallander ogni arroganza filosofica: se gli si chiedesse in nome di chi o di che cosa egli combatte il male, non avrebbe risposte da dare. Si limiterebbe a rivolgere una sguardo triste, afflitto dicendo “Qualcuno deve pur farlo”.