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Il miglio della vita e della morte
In questo libro Stephen King, detto "il re del brivido", abbandona momentaneamente il genere che l'ha reso famoso per dedicarsi a qualcosa di più reale, concreto, sensibile e delicato (anche se forse le prime due parole non sono molto azzeccate).
Siamo nel 1932, durante la Grande Depressione, nel penitenziario a Cold Mountain, nel braccio della morte che possiede la sedia elettrica ironicamente soprannominata "Old Sparky" dai carcerieri.
Ed è proprio uno di questi, Paul Edgecombe, ormai anziano e residente in una casa di riposo, il narratore dell'intera vicenda a cui ha assistito.
Tre sono i prigionieri su cui si concentra la storia: William "Wild Bill" Wharton, un ragazzo cattivo e spietato fino al midollo, Eduard Delacroix, un piccolo e fragile ometto francese accompagnato dall'inseparabile e adorato signor Jingles (un topolino che "gli sussurra all'orecchio" come lui sostiene) che si esibisce in numeri da circo, e infine John Coffey.
Il misterioso John Coffey, un gigantesco uomo di colore, accusato dello stupro e dell'omicidio di due bambine. John Coffey, con il cervello di un bambino, terrorizzato dal buio e sempre in lacrime, un uomo che incute stupore, spavento e meraviglia.
Ma nonostante le apparenze e dopo una serie di strani quanto impossibili eventi, quello strano John Coffey sembra qualcosa di molto di più a Paul Edgecombe, qualcosa che gli altri non sanno e non conoscono...
Ho letto finora tre libri del bravissimo "Re" e, anche se non sono poi così tanti, questo è il mio preferito.
Perchè non è un semplice libro. E'una metafora della vita e dell'esistenza umana.
La morte è l'unica cosa che accomuna tutte le persone, può venire da sola, essere chiamata da qualcuno o essere costretta a intervenire. "Il miglio verde" parla appunto di quest'ultimo caso.
Ma la morte si diverte anche a smascherare le persone o a rivelare le loro vere identità: sebbene un uomo abbia commesso i più atroci reati, di fronte alla morte questo si dimostra impaurito, calmo, quasi una persona buona a cui ti ci affezioni e provi dolore e repulsione nel giustiziarlo, dimenticando per un momento il motivo per cui lo si deve "uccidere", oppure il pensiero della morte suscita indefferenza o addirittura contentezza. A Cold Mountain ci sono tanti detenuti ognuno con la sua storia e i suoi sentimenti, le sue reazioni ed emozioni, ed è come leggere un grande libro della vita umana. Assassini, ladri o stupratori che siano, non vuol dire che siano tutti quanti mostri spietati che non provano nulla, anzi, spesso è il contrario e forse sono anche più sensibili di gente "perbene" (credo che questo termine ormai non esista più, nessuno dopotutto è "immacolato". Incensurato o no, nessuno è una persona perbene).
Si parla anche di pregiudizi, dubbi e incertezze sempre ad opera dell'uomo che muore eppure manda a morire, anche se non si può più tornare indietro, ma per soddisfare soltanto un desiderio personale di vendetta, senza mai andare fino in fondo e scoprire la verità o l'errore commesso.
E'un toccante e commovente libro di denuncia contro la pena di morte, contro il pregiudizio e la stupidità umana che non avranno mai fine.
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