Un covo di vipere
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Discesa nello squallore
Certo che ci sono vittime che sembrano aver meritato la loro fine, come nel caso del ragionier Cosimo Barletta, uno squallido personaggio, usuraio, profittatore e gran donnaiolo, ma con attenzioni rivolte solo verso giovani ragazze. E vien da pensare che in fondo, con i non pochi nemici che aveva, non è forse un caso se è stato ammazzato due volte, la prima con il veleno e la seconda con un colpo di pistola. Del resto la vittima era di una bassezza quasi unica, usa al ricatto nei confronti di diverse giovani, anzi il ricatto costituiva quasi una prassi, avvalendosi di numerose fotografie scattate in momenti compromettenti, la cui divulgazione avrebbe senz’altro disonorato la ragazza di turno. Più Montalbano, Augello e Fazio vanno avanti nelle indagini, più si rendono conto di scendere poco a poco in un covo di vipere, a cui non è estraneo neppure l’ambiente familiare, con un figlio che ha più di un motivo per odiare il padre Cosimo e desiderarne la morte, e con una figlia che, all’apparenza sembra la migliore, la più presentabile, ma che nasconde inconfessabili tendenze. In questa vicenda di sesso, di amore e di odio Camilleri pare trovarsi a suo agio, senza mai correre il rischio di scivolare nel pornografico o, forse peggio, nella farsa ridanciana. In fondo il ragionier Barletta è sì squallido, ma anche il mondo di cui si circonda non è da meno, e non è facile per un pur bravo investigatore come Montalbano giungere alla conclusione, ma ci riuscirà, trovando il reo che tuttavia non apparirà mai in un’aula di tribunale.
Un covo di vipere è un bel poliziesco, forse uno dei migliori della serie con Montalbano, anche grazie alla capacità di Camilleri di sondare l’animo umano, di mettere a nudo quanto di peggio vi si cela, e il tutto con la consueta prosa scorrevole che non potrà che risultare gradita al lettore.
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Montalbano sono
Un altro caso da risolvere per il commissario Montalbano. Un uomo è stato ammazzato nel suo villino, pochi indizi e svariati moventi. Un grattacapo, una questione di quelle che fanno girare i cabasisi a Salvo. Non ci sono dubbi sulla risoluzione del caso.
A Montalbano l’intuizione la porta il mare. Seduto in veranda ammira, ascolta e odora. Saziato dalle mani esperte di Adelina, con una sigaretta ben salda tra le dita e un buon whisky per digerire, cibi e rogne, il commissario passa in rassegna la giornata, una pensatina a Livia e un discorso serio con sé stesso.
Il marchio di fabbrica di Camilleri è l’uso di un linguaggio misto italiano e dialetto siciliano, in generale comprensibile e per nulla fastidioso, anzi, fidelizza il lettore, uno stile unico e piacevole; le parole più astruse escono dalla bocca del simpatico Catarella.
Un giallo classico ed intramontabile, con piste da seguire, testimonianze raccolte alla vecchia maniera, non c’è ombra di tecnologia. Una trama realistica, dove il male non è poi tanto lontano e non assume chissà quali sembianze. I personaggi sono identificati quel tanto che basta per inquadrarli. Non mancano femmine fatali che solleticano le fantasie di tutto il commissariato, in primis Augello, senza cadere nel volgare o nel banale.
Concludendo, una lettura piacevole che odora di salsedine, imperdibile per gli amanti del genere.
“No Montalbà, arrefutati con tutte le tò forze, chiui ogni passaggio all’orribili pinsero che sta tintando di forzari nel tò ciriveddro gli sbarramenti che gli metti davanti. Non gli lassari ’na strittoia, un varco, ‘na minima fissura, masannò sprofunni in uno sbalanco ‘infirnali. Stordisciti, finisciti il whisky che ancora c’è nella buttiglia, ‘imbriacati, opuro scinni nella pilaja e mettiti la testua sutta alla rina per non vidiri, per non sintiri, come fanno gli struzzi…”
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Un covo di vipere
Prima di dare un giudizio, è necessario stabilire cosa si è cercato in questo libro. Se si voleva incontrare ancora una volta Montalbano e il piccolo mondo che gli gira intorno, tutto va per il meglio, tra gli immancabili caratteristi del commissariato – gli strafalcioni di Catarella, l’anagrafe di Fazio, l’esperienza in materia di gentil sesso di Augiello – e le non indispensabili donne di contorno (quanto ad antipatia, non si sa chi scegliere tra Livia e Adelina). Sei il desiderio era, invece, quello di un buon giallo, allora non ci siamo proprio. Ci vogliono sì e no trenta pagine per intuire chi è l’assassino, tanto che non si capisce come il commissario ce ne impieghi altre duecento e più per arrivare al medesimo risultato avendo pure bisogno di rivelazioni esterne e, soprattutto, di un improbabile deus ex machina. Magari sarà l’età che avanza e di cui, ogni tanto, il nostro si lamenta, o forse può darsi che le abbondanti mangiate che si fa a paranzo e a cena (ben innaffiate, tra l’altro) finiscano per rallentargli l’acume poliziottesco. Malgrado questi evidenti difetti, Camilleri sa farsi leggere sempre con piacere, convincendo il lettore a perdonare anche un personaggio del tutto superfluo come Mario: il ritmo è sempre di tutto rispetto e il gioco di una lingua che è dialetto italianizzato sarà anche risaputo, ma funziona ancora, collaborando all’efficacia dei momenti più leggeri e degli spunti comici sparsi qui e là in una storia particolarmente cupa dal punto di vista psicologico. In più, lo scrittore siciliano tralascia i riferimenti diretti al mondo reale e, soprattutto, costruisce un finale intessuto di delicatezza e partecipazione che compensa qualsiasi passaggio a vuoto che l’ha preceduto. Nella postfazione, l’autore racconta di come la caccia all’assassino dello spregevole Cosimo Barletta – uomo di assoluta insensibilità, avido, erotomane e pure strozzino nonché immerso in una rete di relazioni di spiccata abiezione morale (come da titolo) – sia rimasta nel cassetto per qualche anno: prendendo per buoni i motivi addotti, resta l’impressione che la pausa di riflessione sia stata dovuta anche al fatto che la ciambella dell’investigazione non volesse (o potesse, visto il risultato finale) venire con il buco. Posto che io faccio parte della prima fra le due categorie di cui sopra perché è passato parecchio tempo dall’ultima volta che ho incrociato Montalbano, ‘Un covo di vipere’ deve essere classificato come un epsiodio minore fra i romanzi a lui dedicati: garantisce qualche ora di lettura comunque divertente, ma rimane ben lontano dal livello medio delle indagini del commissario inventato da Camilleri.
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Sicilianità viva
Era da tempo che non leggevo un giallo di Camilleri e mi sono ritrovata immersa nella sicilianità allo stato puro. E’ stato come reincontrare un amico molto caro, che non vedi da tanto tempo. Le lettura è sempre piacevole, soprattutto per lo stile, con descrizioni in siciliano stretto e parti in italiano che ti lasciano un po’ di respiro. Quando leggi ti sembra di essere su un’altalena ed aspetti tanto le une quanto le altre. E’ un libro che ti dà piacere per il gusto in sé di leggerlo: già solo per questo l’autore merita il successo che ha. La storia, devo dire, è meno bella di altre, un po’ più semplice e scontata o comunque intuibile. Appare torbida e morbosa, perchè è il tema prescelto ad esserlo: l’incesto, tema tanto interessante quanto difficile, su cui la penna autorevole di Camilleri si è voluta confrontare, tenendo le redini della storia con l’immancabile ironia e maestria. Come un regista davvero sapiente.
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Il complesso di Elettra secondo Camilleri
L’omicidio di Cosimo Barletta fa emergere un profilo spregevole della vittima. Donnaiolo perverso e ricattatore (“Nel primo cascione … c’erano ‘na vintina di biste gialle … Supra da ognuna c’era scrivuto un nomi di fimmina …Ammostravano tutte alla stissa picciotta, nuda, in posizioni oscene o mentri faciva all’amuri con Barletta”), in vita praticava l’usura (“Barletta ‘mpristava dinaro a strozzo”) e si era creato molti nemici tra le donne ricattate e le persone strangolate dai debiti.
Di fronte a tale profilo, il commissario Montalbano quasi quasi non sa per chi parteggiare: “… ‘na cosa è mannare ‘n galera a uno che ha ammazzato a un galantuomo e ‘n’autra cosa è mannare ‘n galera a uno che ammazzato a un fitenti farabutto.”
Il romanzo è ricco di riferimenti culturali (non ultimi quelli alla tragedia greca e ai complessi edipici), presentati con leggerezza dai personaggi che ispirano familiarità e simpatia.
Come simpatia ispirano la carnalità godereccia (“Da Enzo si era fatta ‘na gran mangiata di purpi a strascinasali, tinnirissimi, e i purpi è cosa cognita che sunno strenui combattenti dintra alla panza prima d’essiri sconfitti dalla digestioni”), l’intellettualismo peculiare (“Il ciriveddro è ‘na gran camurria di machina che non sulo non s’arresta mai, ma t’obbliga a pinsari a quello che voli lui”), la complessità (“L’autro Montalbano, quello che stava acquattato dintra di lui e viniva fora alla minima occasioni, si fici subito vivo”) di Montalbano.
Lo stile narrativo di Camilleri – la parlata sicula trasformata in linguaggio scritto - è unico e contagioso: mentre leggo un suo romanzo, non posso fare a meno, io stesso, di utilizzare termini come cabasisi, ammazzatina e camurria, verbi come taliare e congiunzioni come macari.
Sul piano contenutistico, trame come quella di “Un covo di vipere” sono sempre avvincenti: stimolano, divertono, incuriosiscono… e l’ironia diffusa tra le righe conquista anche il lettore più recalcitrante.
Bruno Elpis
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Quando Perseo non ha lo scudo
In una Vigata sfumata, soffocante, nella quale si infiamma una tarantella inestinguibile di sospettati, comparse, erotomani, malesseri improvvisi e fedeltà fragile come soltanto l’indole umana può essere, in questa dimensione angosciante, senza respiro, senza soluzione di continuità, sull’orlo di una crisi di nervi improvvisa, Montalbano è chiamato alla soluzione di un delitto. Intuibile la soluzione, fin dalle prime battute, anche senza prove, basta l’istinto a collegare un puzzle troppo lineare di enigmi più o meno risolti, a far combaciare i dettagli, a farli soggiacere all’imperativo categorico di una qualche sensazione impellente; basta l’irragionevole pervicacia umana a cancellare i depistaggi, perché in fondo, a volte, essere testardi preclude delle vie, ma elimina i dubbi. È insomma un giallo terribile.
Eppure in questo clima sospeso, in questo frenetico movimento di corpi che si alterna alle pause di un Montalbano interrotto spinto fino all’esacerbazione, il giallo conta poco, specialmente di fronte ad un’energia pulsante che fa tentennare, inorridire, eppure attrae punto dopo punto fino a svelare l’abisso. Perché palpita al di sotto della trama, un interrogativo viscido, eppure irrinunciabile, cui la fatalità, come nel più perfetto dei drammi greci, sacrificherà una giustizia umana e civile irrimediabilmente imperfetta.
D’altra parte la tragedia greca è stata forse fonte d’ispirazione, sicuramente i parallelismi sono evidenti, fin dal titolo, nel quale si consuma e si risolve tutta la storia. Perché Montalbano, novello Perseo, dovrà affrontare Medusa, mostruosa creatura condannata da Atena (dea della ragione) per la protervia e la vanità. I serpenti, le vipere, che si agitano sul suo capo, sono l’emblema di una colpa che tormenta e che marchia per il resto dell’esistenza. Orrenda a vedersi, Medusa pietrifica chiunque osi guardarla; Medusa, ovvero perversione intellettuale. E Perseo sarebbe destinato a soccombere, se Atena non corresse in suo aiuto, donando uno scudo attraverso cui vedere l’abisso. Eppure, nel tragico consumarsi della storia, Montalbano (Perseo irrimediabilmente umano) non ha nessun aiuto, né tantomeno riesce a sostenere lo sguardo diretto del mostro. E così, nella pessimistica rivisitazione del mito, l’eroe coglie i propri limiti, quelli della ragione che non riesce a soverchiare la compassione. Ed in questo drammatico gioco di forze, il giudizio rimane sospeso, a contemplare le colpe di un’umanità sull’orlo della disgregazione. E per fuggire dal nulla, non rimane che il silenzio.
Camilleri scrive un giallo imperfetto, ma anche una storia palpitante, quasi ad estendere il nietzschiano “se tu scruterai dentro l’abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te”, tessendo l’esile trama con uno sguardo impietoso su una vita famigliare distrutta, tra il ripugnante e l’erotico: eppure anche l’amore non ha nulla di gioioso, anch’esso è disperato, brutale, carnale, viscido, pornografico. Nessuna lama di luce, nessuno spiraglio in un universo torbido alla ricerca di redenzione.
Ammirevole l’obiettivo del testo, ambizioso il contenuto, straniante il siciliano se letto per la prima volta. L’unico errore di questo giallo, un errore strutturale, e di prospettiva, è il genere stesso: il giallo deve essere tale, non può tentare di giudicar la realtà, a rischio di svilire l’indagine. Camilleri evita una caduta, e in questo sta la sua maestria, e la sua abilità. E se la soluzione del caso non stupisce, sorprende forse come ad essa si giunga. O magari, per un Perseo riluttante ad uccidere la Medusa, un’alternativa può giungere soltanto da un deus ex machina.
Libro estremamente intelligente, di un’erudizione dissimulata, in miracoloso equilibrio tra due istanze (il giallo e la riflessione sociale/umana) che, dettate dal timore di un tema tanto grande, la ragione non riesce a riequilibrare.
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Un torbido delitto in ambiente familiare
Una nuova inchiesta del sempreverde Commissario Montalbano. Come affermato in una intervista a “Il Fatto quotidiano” del giugno 2013, Andrea Camilleri ha promesso che per il momento Montalbano non andrà in pensione (né morirà) e che, sempre per ora, non intende farlo convolare a nozze con l’eterna fidanzata Livia. Ed è proprio Livia che, in questa nuova avventura, è presente più del consueto : i due indubbiamente si vogliono bene (complice forse la lontananza !) e, anche se la pazientissima Livia è una pessima cuoca (la fidata cameriera Adelina trionfa sempre, con la sua consueta abilità nel cucinare pesci di ogni genere !), non ci sono baruffe ed il legame con Salvo appare rinsaldato. Il nuovo giallo camilleriano inizia con un bel delitto : un emerito ricco lestofante viene addirittura ucciso due volte, col veleno e con la pistola. L’intricata vicenda mette a dura prova l’acume di Montalbano, e non solo: anche il suo vice Mimì Augello ed il buon Fazio contribuiscono a dipanare la matassa, scoprendo un groviglio di interessi familiari (c’è di mezzo un testamento) e , nel medesimo “covo di vipere”, sordide vicende che, sin quasi alla fine, mascherano un rapporto incestuoso. Camilleri tratta la delicata vicenda da par suo, con mano leggera, senza indulgere al grottesco. Rispetto ad altre inchieste del Commissario Montalbano, Camilleri dà più spazio all’analisi dei personaggi : per questo forse non soddisfa troppo i lettori amanti dei colpi di scena, anche se Camilleri è sempre Camilleri ed un bel 10 ( vedi la critica del Corsera) gli va quasi sempre assegnato di diritto. Come sempre, fanno ala al Commissario l’imprevedibile Catarella con le sue simpatiche scempiaggini, l’irascibile patologo dottor Pasquano, il p.m. Tommaseo con le sue debolezze : questa volta c’è in più uno strano personaggio (sembra un barbone ma non lo è), che suscita la compassione di Livia e che contribuirà involontariamente, e non poco, ad indirizzare Montalbano alla soluzione del caso.
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Un covo di vipere
Il ragioniere Cosimo Barletta è un ricco strozzino amante insaziabile di giovani donne che viene trovato morto: ucciso e ri- ucciso. Montalbano indaga sui segreti impenetrabili di una famiglia solo all' apparenza normale.
Questo romanzo esce solo adesso ma è stato scritto nel 2008, come dice lo stesso Camilleri nella nota finale, si spiegano così il rapporto con Livia che appare ancora fresco e i pensieri del nostro Montalbano che non sono incentrati sul tempo che passa come nelle ultime opere.
L' argomento intorno a cui si sviluppa il giallo è bello " tosto" ma Camilleri lo tratta con la solita maestria, unica pecca : si intuisce presto il colpevole ... Peccato.
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In Basket
I personaggi ci sono tutti, divertenti come sempre. Lo scaltro e malinconico Montalbano, che si sente un po' più vecchio e solo, il fido Fazio, con la sindrome dell'anagrafica, l'amico Augello, con la fissazione per le “fimmine” e il devoto Catarella, con il morbo del “cognome impazzito”. Nel solito bailamme tra un'azzufatina con Livia, una “supercazzola” al questore Bonetti-Alderighi e gli infamanti diverbi con Dott. Pasquano si rincorre l'assassino, anzi i due, che hanno ucciso il ragionier Barletta. Un uomo senza morale, affarista senza scrupoli, usuraio che non disdegna il ricatto a fini sessuali delle giovani donne che incontra. Ha più nemici che amici, compresi i suoi figli. La morte del ragioniere sembra da intendere, in alcune pagine, più come una liberazione che come un delitto e, anche se non vuole, il commissario presto capisce il vero motivo dell'omicidio e l'amara verità prorompe.
Un libro, a tratti freddo e scostante nella descrizione delle vicende, che scandaglia l'animo umano nei suoi più torbidi meandri, senza moralismi inutili, lasciando al lettore l'ultima parola. Ancora una volta la “saga” vince e il lettore si diverte anche senza il patos sul finale.
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Io, Salvo ed il giallo italiano
Prima di tutto, voglio fare una doverosa premessa: io Salvo Montalbano lo amo. Lo amo da sempre, e specialmente per i primi capitoli della serie, in cui humor e giallo non mancavano mai.
Ma come nelle migliori serie televisive, a cui Camilleri deve tanto anche a livello di caratterizzazioni attoriali, alla lunga tutto stufa. E' un processo naturale, le storie si sfilacciano, i protagonisti perdono smalto, gli intrighi vengono indovinati a metà libro.
Succede. Ed allora? Allora in genere è il segno che basta.
Basta con masnade donne bellissime e sempre appetibili, con uomini laidi e senza morale, con il sesso che domina la scena, manco fossero le storie del PM Tommaseo.
Per lo meno, a magra consolazione, in questo libro (datato 2008 ma pubblicato solo ora), Salvo evita di piangersi addosso tutto il dolore per la sua vecchiaia, e di questo lo ringrazio.
Si potrebbe riavere indietro lo humor e il giallo "vero"?
No?
Allora forse è il caso di fermarsi qui.
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Sissignuri,a quest'ora.Spiegagli che non possiamo
Cosimo Barletta, un ragioniere molto ricco è stato ritrovato morto nella sua villetta dal figlio, Arturo, che si era recato dal padre di buon mattino. Il vecchio è stato ucciso con un'arma da fuoco. La figlia Giovanna, una bionda mozzafiato che riscuote subito le attenzioni del Commissario Montabano e i suoi fidati collaboratori: Fazio, Augello e come se non bastasse risveglia l'ossessiva gelosia di Livia, giunta da Genova per il solito weekend, sembra mettere i tre poliziotti sulla strada giusta per smascherare l'assassino o l'assassina. Infatti Giovanna rivela al Commissario la vera attività dal padre ,quella di strozzino della peggior specie, dunque la lista di possibili nemici è assai lunga, se poi a questo si aggiunge che il ragioniere era uno sciupafemmine compulsivo, che in casa durante la perquisizione verranno ritrovate cartelle contenenti foto erotiche di tutte le sue amanti con le quali le ricattava , il quadro si fa più torbido e intricato. Se a queste rivelazioni si aggiunge il primo colpo di scena che ha per protagonista il dottor Pasquano che durante l'autopsia scopre che Cosimo Barletta quando fu sparato era già morto ,in quanto avvelenato da una letale dose di curaro: u ciriveddu al povero Commissario vigatese comincia a far male assai. C'è però un elemento che sembra aiutare Montalbano, dallo studio di Cosimo Barletta è scomparso il testamento, Giovanna o Arturo avevano interesse a farlo sparire? Si e no, ma soprattutto sembrano avere degli alibi inconfutabili e allora siamo punto e daccapo. Quindi ,ricapitolando, nel letto della vittima sono stati ritrovati alcuni capelli di donna, l'uomo è stato avvelenato e poi sparato, nella villetta c'era un viavai di donne, il testamento è sparito e c'è un barbone che vive in una grotta poco lontano da Marinella ,storica dimora vista mare di Montalbano, che si sta godendo un paio di camicie nuove regalo di Livia che scoprendo a sua volta essere un regalo di Adelina al Commissario ha deciso , fimmina gelosissima, di disfarsene così. Ma cosa diavolo c'entrano un clochard, delle camicie da uomo e Livia con un morto ammazzato? Lo so mi sono catarellizzato, ma di un giallo non posso e non voglio svelarvi che il minimo indispensabile.
Un giallo accattivante questo di Camilleri , intricato ed erotico come un romanzo di Albero Moravia.
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