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Onora il padre
 
Onora il padre 2008-02-18 05:29:45 vitosantoro
Voto medio 
 
3.0
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
2.0
Piacevolezza 
 
3.0
vitosantoro Opinione inserita da vitosantoro    18 Febbraio, 2008
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Prima di Romanzo criminale

Il grande successo di Romanzo criminale (2002), bissato - sia pure parzialmente - dal relativo sequel Nelle mani giuste (2007), ha reso, e con pieno merito, Giancarlo De Cataldo uno delle star della narrativa italiana, non solo di genere. Da qui la ristampa dei suoi primi lavori, passati all’epoca inosservati, come, solo per citarne alcuni, il romanzo d’esordio Nero come il cuore e quel magnifico esercizio di new journalism che è Terroni. Ora è la volta di Onora il padre. Quarto comandamento, che Einaudi ripropone all’attenzione dei lettori italiani dopo l’iniziale, e unico, passaggio, firmato con il nom de plume John Giudice, otto anni fa nei Gialli Mondadori.
Va detto che questo libro è la novelization della sceneggiatura di una miniserie televisiva - Leo Gullotta e Marco Bonini i protagonisti; Giampaolo Tescari il regista -, che il magistrato-scrittore tarantino scrisse all'inizio del 2000 con Fausto Brizzi e Marco Martani, proprio la coppia che ha curato lo script e la regia dei due Notte prima degli esami (Brizzi) e di Cemento armato (Martani). «Giudicato forse troppo “forte” - si legge nella Nota dell’autore del libro - il film fu trasmesso nel 2003 su Retequattro, in coincidenza con una partita di Coppa della Roma».
Onora il padre contiene, fatta salva l’ambientazione riminese, tutti gli ingredienti dello psyco-thriller anglosassone, genere in auge negli anni Novanta grazie ai due capolavori di Thomas Harris, Red dragon e Il silenzio degli innocenti. Infatti, secondo la migliore tradizione del genere, ci troviamo dinanzi a omicidi cruenti (donne seviziate e uccise, ma senza mai violenza sessuale), a un serial killer che sembra inafferrabile, e a un investigatore solitario che si occupa del caso grazie alla sua capacità di penetrare nella criminal mind.
Analogamente, la tecnica di scrittura si fonda sullo sdoppiamento del punto di vista e della voce narrante, evidenziato anche dall’utilizzo di un diverso carattere tipografico. Nella parte in tondo, il narratore è esterno alla diegesi e racconta al passato la storia delle indagini e della caccia al “mostro”, le dinamiche umane e sentimentali che si stabiliscono tra i componenti dell’unità investigativa, oltre a darci uno spaccato della psicologia del detective grazie al sapiente uso del discorso indiretto libero.
Nei corsivi, invece, il racconto è in prima persona e in contemporanea con gli eventi. Qui è il maniaco ad esprimere le sue elucubrazioni, in cui Nietzsche e l’Antico Testamento si mescolano; elucubrazioni dominate da quella «legge dei padri» di cui si sente esecutore e in nome della quale deve uccidere chi trasgredisce alle regole, secondo un vero e proprio rituale che contempla la presenza vicino alla vittima di bastoncini di incenso e di una canzone primi anni 70, molto hippy (Silence dei Flying Objects, ma tanto il brano quanto il gruppo non esistono, sono una invenzione dello scrittore) a fungere da colonna sonora degli omicidi.
Naturalmente, come è tradizione di questo tipo di romanzi, si scoprirà che le donne uccise hanno tutte un tratto in comune e che le torture fino alla morte di cui sono vittime, hanno il carattere di un vero e proprio contrappasso dantesco.
Ma il romanzo racconta anche un’altra indagine. Quando la vittima del Figlio dei fiori - questo è il nome che viene affibbiato al killer - è Francesca Maltese, ragazza ricca e conosciuta, la polizia manda a Rimini Matteo Colonna, giovane criminologo, già allievo dell’Accademia dell’Fbi di Quantico (come Lucy, l’insopportabile nipote di Kay Scarpetta…). Sarà lui a scoprire che questo delitto si collega con altri avvenuti negli anni precedenti.
Ombroso e solitario, poco avvezzo al gioco di squadra e per questo da subito in distonia con il vicequestore Prosperi, Matteo nasconde un segreto: nato a Rimini da un padre che non lo ha riconosciuto, è cresciuto a Milano in un orfanotrofio. Così la trasferta romagnola è anche occasione di un ritorno alle origini e di un incontro con un genitore che non ha mai conosciuto, il giocattolaio Davide Zanetti, che si rivela non del tutto estraneo ai fatti delittuosi.
Già da queste note si evince come il plot di Onora il padre presenta un che di meccanico nella sovrapposizione francamente forzata delle due ricerche, quella dell'assassino e quella del padre. Inoltre, la derivazione del romanzo da una sceneggiatura per una miniserie tv fa sì che questo presenti tutta una serie di situazioni topiche - come la visita nella colonia abbandonata, classico luogo spettrale, dove nel ’72 è avvenuto il delitto che ha dato origine alla macabra serie, o come la morte del poliziotto collaboratore di Matteo, subito dopo la scoperta dell’identità dell’assassino - che nell’economia di un film thriller possono essere accettabili, a patto che il regista sappia gestire al meglio le riprese, dosando saggiamente i tempi di attesa e il ritmo del montaggio (come il Dario Argento dei bei tempi andati). Molto meno in un romanzo, uscito per giunta nel 2008, buon ultimo di una sfilza enorme di titoli incetrati sullo stesso argomento, dove con la loro prevedibilità erodono pesantemente la sospensione dell'incredulità da parte del lettore (è poi, davvero difficile pensare che nessuno prima dell’arrivo a Rimini di Colonna non avesse colto il fatto che tutte le vittime avevano affidato il padre vecchio e malato alla stessa casa di riposo).
Così, riletto oggi, Onora il padre il padre può essere considerato come un esercizio di preparazione al capolavoro, a quel Romanzo criminale, cui De Cataldo stava già allora lavorando. Troviamo infatti, quel gusto per la descrizione quanto mai essenziale dell’ambiente, nonché l’uso nel corso della narrazione dei verbali di polizia, secondo la lezione della migliore crime novel americana. Ma soprattutto, qui lo scrittore inizia la messa a punto di quella strategia narrativa a focalizzazione interna ai personaggi, che porterà alla perfezione nel dittico sulla banda della Magliana, dove il racconto si presenterà magistralmente strutturato come un mosaico polifonico di tanti “io”, psicologizzati ai massimi livelli, con il ricorso a un parlato mimetico, alla lingua gergale e dialettale, in una efficace “soggettiva” che ci fa vedere il mondo con gli occhi dei vari Libanese, Freddo, Dandi, Scialoja e Stalin Rossetti. Ma questa è un'altra storia.
vito santoro

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Consigliato agli appassionati di psychothriller
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