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Il passato è un morto senza cadavere
 
Il passato è un morto senza cadavere 2024-11-03 19:47:44 Bruno Izzo
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Bruno Izzo Opinione inserita da Bruno Izzo    03 Novembre, 2024
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Ritorno al bel tempo antico

L’ultimo romanzo di Antonio Manzini, avente a protagonista il suo personaggio più noto, certamente quello più amato dai fedeli lettori, il vicequestore Rocco Schiavone, in servizio permanente effettivo presso la questura di Aosta, rappresenta un gradito ritorno in libreria, dopo una lunga assenza. Intendiamoci bene, però, il poliziotto romano Schiavone è stato sì assoluto protagonista dei più recenti lavori di Manzini a lui dedicati, ricordiamo ad esempio “Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Sud America?”. Oppure “ELP”, e però a più di un lettore è parso quasi di non incontrare in queste pagine proprio lui in carne e ossa, il Rocco Schiavone come abbiamo imparato a conoscere, e ad amare, dal suo primo apparire in “La pista nera”, oppure “La costola di Adamo”, o ancora “Non è stagione”, ecc. Perché negli ultimi lavori lo spot è sì sempre focalizzato sul nostro particolare segugio investigativo, in particolare sull’etica squisitamente umana che ne guida le operazioni. Schiavone è sempre il noto verace “romano de’Roma”, trasferito ad Aosta, città rispettabilissima, ma quanto di più lontano dalla sua amata città natale, per clima, ambienti, paesaggi e modi di vivere. Il vicequestore per di più è stato sradicato a forza dal suo habitat imprescindibile di luoghi, amici, sapori, trasferito al nord coattivamente, per motivi disciplinari, sanzione in verità immeritata. Ma tant’è, Rocco è personaggio molto sopra le righe, tosto, testardo, cocciuto, applica la legge non a modo suo, non è un giustiziere né si arroga di essere sopra le parti, tutt’altro. Lui per primo sbaglia, sapendo di sbagliare, usa metodi d'indagine poco ortodossi, che non contemplano la certosina applicazione delle regole d'investigazione secondo manuale di legge. Si rilassa spinellando, che non è il massimo per un poliziotto, frequenta gli amici di una vita, i fedeli compagni, o meglio assai di più, i fratelli sodali della sua infanzia e giovinezza nel quartiere natale. Amici fraterni che però, a differenza sua che ha studiato ed ha superato il concorso in polizia, non sono persone rispettabili e dalla fedina penale immacolata, cosa che non si conviene opportuna per un dirigente della Polizia di Stato. Il vicequestore di tutto ciò non se ne dà per inteso, non per sufficienza o meno che mai per alterigia. Semplicemente Rocco Schiavone è fedele a se stesso, si ostina a ragionare con la sua testa e il suo cuore, ha studiato giurisprudenza ma la sua prima laurea l’ha conseguita summa cum laude per natali e vissuto. Sa perfettamente come vanno le cose nella vita, quanto la legge stabilisca netto e preciso il confine tra bene o male; ma sa altrettanto bene, lo ha vissuto sulla sua pelle, che più spesso il varcare la linea in un senso o nell’altro sia una necessità esistenziale per molti presunti cattivi, e una precisa volontà di nuocere per molti tra i presunti buoni, fidando nel commettere i reati più abietti sull’impunità che deriva dal loro ruolo sociale, acquisito spesso anche quello in maniera disonesta. Questo il Rocco Schiavone che abbiamo imparato ad amare: e che però di recente avevamo perso di vista. Questa volta invece Antonio Manzini è felicemente tornato all’antico, avrebbe potuto benissimo intitolare questo suo lavoro come ”Rocco Schiavone: il ritorno”, lo scrittore ha compiuto un salto nel passato, letteralmente, con questa storia, un bel romanzo corposo, che in oltre cinquecento pagine, tutte scorrevoli e leggibilissime, ci offre una indagine, anzi più di una, personaggi ottimamente descritti, vecchi e nuovi, quelli più datati anche arricchiti, aggiornati, rivitalizzati, un romanzo che è una bella sorpresa, un ritorno all’antico, direi di più, al bel tempo antico. Manzini, infatti, non si dilunga più particolarmente in ulteriori capitoli centrati sulle dolorose vicissitudini strettamente personali del vicequestore, legate cioè più alla persona che non alla sua professione, che vanno dal rievocare il passato del personaggio, dall’assassinio dell’amatissima moglie Marina, il successivo delitto della compagna del miglior amico di Schiavone, la ricerca del colpevole e traversie varie che, in un certo qual modo, illustrano i trascorsi del personaggio, indugiando sui motivi fondanti dell’amara solitudine, annichilimento e disperazione, che albergano nell’animo sconfortato del vicequestore, a onta di uno spessore umano di tutto rispetto. Antonio Manzini con i romanzi appena prima di questo ha chiuso la parentesi, Schiavone ha risolto in qualche modo i fatti relativi all’assassinio dell’adorata moglie e al tradimento dell’amico del cuore Sebastiano Cecchetti, e torna a essere “unus sed leo”, uno solo ma leone, si riprende in pieno le luci della ribalta. Capisce, e finalmente, che il passato è morto, esiste solo se lo facciamo vivere noi. Non è più distratto e abulico, sono tornati alla grande ambedue, Manzini e Schiavone. La vita va accettata, abbracciata, anche a costo di farsi male: rifiutarla, nascondersi è da vigliacchi, e quindi non da Schiavone. Tutto inizia, come un normale giallo, con un cadavere, un ciclista morto in quello che a prima vista appare come l’ennesima vittima di un pirata della strada, ed è invece un omicidio premeditato. Come tutti i mistery, il punto di partenza è il morto, si cerca di capire la vittima, e il suo passato, per scoprire i motivi e i moventi dell’assassinio, e da qui al colpevole. Solo che questa volta l’indagine si dipana all’infinito, rivela una catena di fatti e personaggi che risalgono indietro nel tempo, tutto avvolto in un mistero teso e intrigante da leggere, come può esserlo un morto ammazzato sì, ma senza cadavere. Una ricerca del colpevole che smuove le acque di uno stagno putrido che cela eventi dimenticati da anni. Una storia, e tanti fatti, che coinvolgono in toto, ciascuno a suo modo portando le loro storie nella storia, Schiavone e la sua squadra, il viceispettore Antonio Scipioni, gli agenti Ugo Casella, Michele Deruta, Mimmo D’Intino, e poi il magistrato Maurizio Baldi, il questore Costa e via via tutti i personaggi che sappiamo. Compresa Sandra Buccellato, la giornalista che, dopo tanto tempo dalla scomparsa della moglie Marina, sembra l’unica donna in grado d'interessare Schiavone. La sola a fargli capire che vivere nella memoria impedisce di vivere, perché i morti sono morti, con loro non ci puoi parlare, i vivi invece sono accanto a te, e richiedono il tuo amore. Possono anche spaventarti, i vivi, farti paura: Rocco Schiavone baldo e audace, accusa la paura, al solo pensiero di poter perdere anche Sandra. Anche i vicequestori forti e gagliardi hanno un’anima, sapete. Bentornato, Rocco.

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Bella recensione esaustiva e appassionante e devo dire soprattutto confortante: l'ultimo lavoro di Manzini mi aveva lasciato l'amaro in bocca, penso che la chiusura della vicenda con Sebastiano meritasse di meglio. Condivido la sensazione che negli ultimi lavori il contesto sociale e personale del protagonista avessero preso il sopravvento sulla parte "gialla" portando il romanzo verso il noir, sempre godibilissimo per carità, ma con uno Schiavone molto scofortato e malinconico.
In risposta ad un precedente commento
Bruno Izzo
05 Novembre, 2024
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Infatti, sono stato davvero felice anche io di ritrovare lo Schiavone dei bei tempi andati, in verità vederlo sconsolato e afflitto...cominciava a stufare! Manzini a mio parere ha chiuso la parentesi "tradimento dell'amico del cuore" a forza, senza voglia; ma vabbè, l'essenziale è...visibile agli occhi, la ripresa di un cammino con una buona storia, lunga, articolata, ma...schiavoniana sensu strictu, se posso permettermi. Un cordiale saluto!
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