Dettagli Recensione
Il lato oscuro della normalità forzata
A prima vista, gettando appena un’occhiata distratta e superficiale nel gironzolare tra i banchi della sezione apposita di una qualsiasi libreria, si indovina a pelle che sì, certo, siamo in presenza di una buona lettura, però usuale per gli amanti del genere. Finanche la copertina, ben suggestiva, già lascia immaginare i demoni celati in sé, il doppio “cattivo” che talora predomina su quello buono e tranquillo; quindi, un libro che per quanto ben scritto, rientra nell’ordinario, nel comune e già noto, magari anche prevedibile, questo all’apparenza non promette nulla di più dello scorrere delle giornate di un tranquillo e pacato serial killer, e la corsa del poliziotto di turno per fermarlo. Niente di più errato: l’autore, in maniera sottile, con una trama affilata come un rasoio, con una scrittura direi essenziale, agile e leggera, ti fa girare le pagine senza manco che ti accorgi che ti stai avvicinando alla fine, perché ti sorprende, ti sconcerta, ti sbalordisce. Il milanese Roberto Ottonelli nel suo lavoro ci dice di più che in un giallo, in un thriller, magari neanche molto di più, se vogliamo, ma quel tanto basta a fare de “Il dolce sorriso della morte” una autentica chicca per gli appassionati certamente dei thriller, ma non solo per loro. Perché Ottonelli non si limita a riportarci le imprese quotidiane del suo protagonista, il giovane travet piccolo borghese Marco Bordoni, un personaggio che definiremmo fin da subito un povero, eterno sfigato. Sfortunato in amore, schiavizzato sul lavoro, intimidito, apprensivo e spaurito d’animo, inadeguato nelle normali interazioni sociali, mesto convivente, ancora alla soglia dei quarant’anni, con l’anziana mamma vedova. Bordoni è scuro, scontento, fuori fase, un irresponsabile, vittima di abusi già nell’infanzia, bersaglio e preda dei bulli, prima della scuola, e poi quelli della vita, soccombente e spiazzato nell’esistenza, a mal partito finanche con sé stesso. Volete che uno così non si trasformi, all’improvviso e poi in modalità ingravescente, in uno spietato assassino, ricercato dalle forze dell’ordine che al solito, quando brancolano nel buio, si appoggiano a esperti, profiler, e psicoterapeuti ad hoc? Solo che Roberto Ottonelli racconta bene, scrive ottimamente, ma si esprime ancora meglio su quanto riporta tra le righe; ed è questo sottinteso, per nulla celato, che valorizza davvero tutto il testo, lo conduce difilato su uno step qualitativo superiore, l’autore fa del quotidiano del suo personaggio non tanto una discesa agli inferi, neanche ricerca una motivazione sociologica alle sue gesta efferate, incide semplicemente sulla banalità del male. Descrive un prologo che è peggiore del male, un incipit esistenziale che non ha nulla di demoniaco, e però è efferato, logico, malevole come solo sa esserlo il comportamento umano nei suoi lati più abietti. E frequenti. Marco Bordoni non è una vittima delle circostanze, è un ricettivo ai fatti occorsogli; è per indole dolce e mite, ma non abulico o indifferente, di pietra. La morte, quel tipo di morte che Bordoni infligge, ha un sorriso dolce, perché è dolce la mitezza, l’ubbidienza, l’affezione di Bordoni che, paradossalmente, inducono il giovane ai delitti. Bordoni è un mansueto che agisce per riparare, si applica dalla nascita e nella crescita al suo meglio, con scarsa considerazione altrui, tutto e tutti lo spingono ad agire sotto pressione, con inclemenza, astio, talora insensibilità assoluta, e violenza. Allora il giovane intende e si industria per suggellare a tutti i costi con cemento a presa rapida tutte le crepe, le lesioni, le fenditure, gli strappi dei fili spinati dell’esistenza, acconciati ad arte attorno a lui, quasi a copertura totale in simil bozzolo, e di cui è stato privato fin da subito delle apposite cesoie per aprirsi un varco. Solo che mentre ne suggella una, se ne aprono altre che in breve diventano squarci, tagli, fistole suppuranti che rimettono la sepsi in circolo. Il male non origina da partenogenesi spontanea, ma ha tanto di paternità riconosciuta, e spesso anche maternità, mitigata da una sorta di amorevole copertura. Allora, e solo allora, è morte, che non ha disegnata sul volto un dolce sorriso, ma una smorfia orrida e raccapricciante. Marco Bordoni non è pertanto un banale serial killer, non è posseduto da una metà oscura di kinghiana memoria, è un protagonista attivo, docile, clemente, suo malgrado rappresenta la prova provata di quanto di nefando può nascondere una normalità forzata e sfregiata a fondo. Normalità indotta ad arte da altri per celare, loro sì, l’incapacità, l’inadeguatezza, la totale incompetenza allo stare al mondo, a discapito dei propri simili quanto più vicini a sé: una banalità, proprio come sa essere banale il male. Quella di Marco non è perciò una storia thriller, ma la sintesi della reazione innocente della mansuetudine, tale che il lettore parteggia per lui, non per sadismo innato, ma per umana empatia. Allora, è solo allora, la morte reca pace, e sorride.