Dettagli Recensione
Peccatori di provincia
Siamo in un piccolo paesino di provincia, a metà degli anni Cinquanta dello scorso secolo: Brisa è una ragazza che potrebbe definirsi una giovane come tante, bella o brutta, dipende da chi la guarda. Ha una caratteristica che potrebbe renderla interessante, una eterocromia che non è una malattia ma una particolarità, ha un occhio di un colore e l’altro di un colore diverso. Insomma, niente di che, ma al popolino ignorante del posto in cui vive è più che sufficiente per etichettarla come la “stria”, la strega del paese. Una folta chioma nera racchiusa in una grande treccia che funziona un pochino come la bacchetta di un rabdomante, non aiuta a riabilitare la nostra figliola, che ha fama di presagire le cose a venire, piccole verità come indovinare il sesso dei nascituri, o altre più gravi, o interessanti, come gli eventi disgraziati in cui occorrono i mariti delle amiche. Brisa è innamorata di Primino, il miglior amico di suo fratello Tumaia: sono giovani del loro tempo, e i giovani cantano e suonano, naturalmente!
Da bravi provinciali, sono particolarmente sensibili alle mode che vengono da fuori; Elvis Presley, tanto per dirne una, è un mito, per cui è tutto un imitare e scimmiottare il divo americano, con tanto di capelli a banana, cintura in pelle di pitone, colpo d’anca scandaloso e innovativo, e “Love me tender” a tutto spiano.
Amami teneramente: certo, anche qui si ama, naturalmente.
Primino, Tumaia e altri amici girano i paesi suonando: la loro band si chiama “I cavedani di Gorino”. Già, i cavedani, i pesci d’acqua dolce tipico del loro paese; sennonché nel posto devono aggirarsi evidentemente anche squali, poiché scompare misteriosamente un bambino. Una cosa sospetta, perché in passato è già successo qualcosa di scabroso, anche in provincia alberga il peccato, anche nelle frazioni più piccole risiedono individui sospetti, peccatori di provincia.
Questa la storia: e qui Paola Baraldi interviene, con la sua scrittura attenta e accurata, con tatto e sensibilità, e lo delinea chiaro: esistono reti per catturare pesci, e reti mimetiche, per celare rifiuti repellenti, miserie e indegnità umane.
Per vederle, servono due occhi di colore diverso, come li ha Brisa.
Perché sapete, più delle streghe, sarebbe il caso di temere i demoni.
Il grande merito di Paola Rambaldi è che ha saputo offrirci con garbo, direi con fine cortesia, una storia delicata, reale, concreta, mai astratta anche nei momenti con risalti paranormali. La scrittrice ferrarese non riporta un thriller o un horror pauroso di per sé, ma un ancora più terrificante, proprio perché reale, racconto di ignobile orrore, dove non mancano pagine crudeli ed efferate, perché precise e circostanziate.
È un testo però sempre rispettoso di fatti, personaggi, vittime, e per inciso, dello stesso lettore, il che non è mai così scontato, taluno preferisce propinare l’effettaccio prezzolato fine a sé stesso. La Rambaldi fa invece di più: ogni rigo è essenziale, funzionale alla trama e alla logica dell’ordito, la scrittura è fantastica ma il particolare è sobrio e sfrondato, corrisponde con rigore al vero. L’autrice possiede scrittura incisiva, fluente e pertinente, concisa nei capitoli e nei dialoghi, e però è esaustiva, scrive e definisce, puntualizza con chiarezza, delinea avvenimenti, personaggi, ambienti e atmosfere con maestria, in maniera asciutta e persuasiva, non ricorre all’effetto in sé ma è provvista da sé di scrittura efficace.
Brisa in dialetto stretto significa non farlo: io in italiano direi che non leggerlo, quello sì, sarebbe un peccato.