Dettagli Recensione
Ladri di polli
Certi autori stanno ai loro personaggi più fortunati perché, tra l’altro, le loro creature appartengono intimamente alle location in cui l’autore sceglie di farli agire: che è in genere una città che lo scrittore conosce al meglio, non di rado quella di origine del narratore.
Succede così per il Montalbano di Camilleri, siciliano ed intrinseco alla sua Vigata; per il commissario Luigi Alfredo Ricciardi di Maurizio De Giovanni, che agisce nella Napoli degli anni Trenta, in pieno regime fascista, o nella Partenope dei nostri giorni con la squadra investigativa detta dei Bastardi di Pizzofalcone; o ancora per il vicequestore Rocco Schiavone di Antonio Manzini, che è in servizio coatto effettivo in quel di Aosta, per un incidente di percorso, ma è un “romano de Roma” purosangue, ed alla capitale appartiene e riconduce il suo substrato vitale.
Infine, è di Milano, e tra le righe soprattutto di Milano si parla nella serie che vede protagonista Carlo Monterossi, personaggio dall’esistenza comoda e privilegiata dei romanzi ancora più fortunati di lui a firma di Alessandro Robecchi.
Robecchi è narratore abile e consumato, con scrittura affabile, un inciso divertente e godibile, ha una prosa piana e tranquilla, talora anche avvincente, ma per lo più articolata.
Intendo con questo sottolineare che Alessandro Robecchi è bravo a giocare su più tavoli, le sue trame cioè non sono mai uniche, è in grado di produrre come pochi altri una storia esauriente, ampia e spaziosa di suo, di piacevole lettura ed esaustiva di per sé. Però il nucleo principale dei suoi romanzi è come un grande bacino artificiale, che si riempie perché alimentato da tanti rivoli. Questi, come fiumi confluiscono a riempirlo ognuno con un proprio percorso, più o meno irto di ostacoli, dislivelli, curve e bruschi salti o cambi di direzione. Si crea infine una caterva di combinazioni, che allorché si aprono le chiuse del bacino, generano una cascata di fatti che formano un tutt’uno lineare, originale, logico, si ricostruisce un lago più in basso, al termine del romanzo, sulla cui superficie si riflettono i fatti e gli antefatti, i protagonisti ed i comprimari, a creare un paesaggio lacustre chiaro, limpido, incantevole. Il suo ultimo lavoro, “Pesci piccoli”, stavolta magari richiama un mare, in cui vivono tante specie ittiche, talora le più interessanti sono quelle piccole, abili a cavarsela contro i grandi predatori, o almeno ci provano, con tanti sotterfugi, dalla fuga al mimetismo.
Su questo mare, naviga il nostro Monterossi.
Carlo Monterossi è uomo dalla duplice personalità, come molti milanesi: con questo, intendiamo che non è affatto un campione di doppiezza, tutt’altro, anzi a modo suo è davvero una bella persona, di gran cuore e intelligenza, lineare e corretta, generoso in particolare nei confronti di coloro, spesso i più semplici e puri di cuore, con cui il destino non è mai stata granché prodigo.
In lui convivono però due anime, o sarebbe meglio dire due metà uguali e speculari, una estremamente pratica, da professionista capace ed affermato, ben adatta alla “Milano da bere” a cui appartiene, quella scintillante degli agi, dei lussi, dei privilegi; e l’altra lirica, malinconica, poetica.
Monterossi sarebbe un uomo semplicemente entusiasta della vita, di cui sa apprezzare le cose belle in tutti i campi, dall’arte alla gastronomia, dai lussi anche frivoli dell’esistenza fino all’accompagnarsi a donne di gran classe, è davvero un romantico sognatore, profondamente intriso di empatia umana. E però il suo vissuto quotidiano è spesso grigio, tetro, deludente ed avvilente, talora violento, lo fa ricredere e lo rende meno empatico e molto più amaramente diffidente.
Troppo intelligente e sensibile da restare indifferente a quanto vive; in un modo o nell’altro infatti, più spesso direttamente, tocca per mano e ha a che fare con le miserie umane, i delitti, gli intrighi, le ingiustizie dei potenti verso i più deboli, le loro insidie, gli inganni, le prepotenze e le soperchierie di quel tipo di umanità tanto potente quanto volgare ed egoista, assai più gravi e nascoste di quelle semplici, stupide, piccole cose la cui spettacolarizzazione lo rende, suo malgrado, un uomo facoltoso. Nell’ambito professionale, Monterossi è libero imprenditore di sé stesso; è dotato di notevole capacità di ideazione e realizzazione di format televisivi che meglio incontrano i favori del pubblico, richiamando succulenti sponsor pubblicitari. Questo nelle sue pie intenzioni: ne apprezza il lato pragmatico, è profumatamente remunerato, quale fortunato autore e ideatore di testi e programmi rotocalco che vanno per la maggiore nelle televisioni commerciali, ma sono diventate, disgraziatamente per la sua dignità e la sua intelligenza, prodotti di alto, altissimo gradimento delle masse, questo sì, ma di quelle ignoranti, ottenebrate dall’etica corrente dei nostri tempi, a base di frivolezze e stupidaggini vari. Carlo Monterossi è l’ideatore di “Crazy love”, un contenitore trash davvero di pessimo gusto, e però con audience da capogiro, che fa le scarpe ad analoghi programmi -spazzatura in giro sulle varie emittenti. Condotto dalla conduttrice Flora De Pisis, emblema perfetta della pochezza della trasmissione, dell’idiozia e della futilità del suo contenuto artistico e giornalistico, ciò nonostante, con seguito crescente. La De Pisis è avida di gloria ed ascolti, è più attrice che conduttrice, per di più falsa e bugiarda, senza alcuna remora morale, è una donna fintamente e posticciamente elegante ed amabile in video, in realtà con una perfida anima ben celata da sguaiata pescivendola, disponibile per il successo a vendersi anche il padre pescatore.
Una trasmissione di cui Carlo Monterossi si vergogna immensamente, prova un dolore lancinante a vederlo in onda, pur essendone stato origine e parte in causa, non riesce a liberarsene a causa delle forti penali contrattuali, cerca in qualche modo di tenerne le distanze, provando a riportarla, senza alcun successo, ad una dimensione più seria, magari sempre frivola e spettacolare, ma con un aspetto a misura d’uomo intelligente e non di massa bruta, e perciò decente, composto, decoroso.
Invano, e allora sopperisce diversamente, estrinseca nella vita fuori dagli spot il suo vero io.
Dentro di sé, nel suo cuore, all’esterno degli studi televisivi, magari anche all’interno della sua lussuosa abitazione, Monterossi mostra la sua vera essenza, la sua anima di milanese doc.
All’ombra della Madonnina vive la vita, e ne partecipa, è sodale con i suoi simili, non se ne sta con le mani in mano, porge la mano quando e se serve per ricomporre un minimo di equità civile.
Collabora allora, più che ufficiosamente, diremmo clandestinamente, con la polizia, o meglio con quei rappresentanti della legge a cui il fato lo ha legato con simpatia, gli agenti di polizia Ghezzi e Carella, e poi con gli amici investigatori privati Oscar Falcone ed Agatina Cirrielli dell’agenzia Sistemi Integrati. E poiché tutto il mondo è un grande paese, e siamo d’accordo, ma Milano è una grande Milano, ecco che allora fatti e persone diversissimi tra loro, come un presunto miracolo di un Cristo ligneo che si illumina, la costruzione di una diga in Africa, che vede impegnate grandi aziende di edilizia con tanto di segrete connessioni politiche, nonché ingegneri, guardie giurate, donne delle pulizie, vecchie sartine ed immigrati addetti al food delivery benché maghi dell’informatica, tutti si intersecano tra loro, si incontrano, si sfiorano, si scontrano in una miriade di combinazioni.
L’esistenza sfugge ad ogni logica, o meglio ne ha una tutta sua, tipicamente beffarda, si crea una reta fittissima di coincidenze, casualità, accidenti, imprevisti, tutte però parte in causa in un progetto super partes perché infine tutti i nodi vengano al pettine. Un’eterna lotta tra il bene ed il male, tra il potere bieco e prevaricante, e coloro costretti a subirlo, in un gioco a rincorrersi tra gente ricca e potente che maneggia affari loschi per milioni contro gente comune, come dire Davide contro Golia, guardie e ladri. Dove le guardie non sono certo gli amici di Monterossi, ma la classe dominante, spesso coincidente con i lerci parassiti della società, e i ladri sono, tutt’al più, ladri di polli, piccoli pesci che si arrabattano come possono per raggiungere, e con gran fatica, la paga da fame, la soglia minima degli ottocento euro mensili, indispensabili per la pura e mera sopravvivenza, quella per cui c’è tanta gente, tantissima, che corre. Ed è già tanto che non vengano ad impiccarci tutti. Perché Milano è una grande metropoli, è come un oceano, e nel gran mare nuotano sardine, tonni, squali. Inutile dire per chi solidarizza Monterossi, che di un pesce piccolo, o meglio di una sirenetta di nome Teresa, finisce pure per innamorarsi. Dopo tutto, è autore di Crazy Love.