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Vanina e un cadavere d’antan
Alfio Burrano, nipote della dispotica signora Teresa Regalbuto vedova Burrano, raramente si ferma a Sciara, nella villa di famiglia che sua zia si ostina a voler lasciare così, in stato di totale abbandono, ma una sera di settembre con l’Etna che erutta polvere nera sulla città e tutti i voli per Milano cancellati, decide di restare a dormire nella dependance. Una infiltrazione d’acqua, però, ha fatto crollare un muro della fatiscente villa così scopre casualmente un vecchio montavivande, celato dietro a una statua e, dentro ad esso, il cadavere di una donna, in stato di mummificazione. Lì dentro forse da almeno cinquant’anni.
Inizia così, per il vicequestore Vanina Guarrasi, da pochi mesi trasferita a Catania presso la Squadra Mobile, una singolare indagine che la porterà a riaprire un vecchissimo caso di omicidio, quello di Gaetano Burrano, marito della Regalbuto, per il quale, nel 1959, era stato condannato (ingiustamente?) il suo segretario Masino Di Stefano. Salteranno pure fuori loschi affari e altri morti ammazzati che porteranno a riscrivere quelle vicende, lontane ma, tuttavia, ancora cariche di pesanti influssi sul presente.
Con questo romanzo si inaugura la felice serie di gialli che vedono come protagonista Giovanna (detta Vanina) Guarrasi, tenace poliziotta, che – dopo aver passato anni alla Direzione investigativa antimafia di Palermo, anche, se non soprattutto, per scovare gli assassini che le avevano ucciso davanti agli occhi il padre, audace poliziotto in lotta contro il crimine organizzato – era quasi fuggita, disgustata, dal quel mondo lercio e melmoso, per farsi assegnare prima a Milano, poi, nostalgica della sua isola, a Catania, ma lontano dalla Dia.
Questa prima storia è indubbiamente interessante e un buon esordio delle vicende future. Innanzi tutto si giova del fascino di questo “cold case” che procede lentamente, un po’ sulla scia di faticose ricerche su polverosi fascicoli giudiziari di mezzo secolo prima, un po’ grazie alla memoria ancora lucidissima di tanti vecchietti che, all’epoca, furono coinvolti nelle vicende, in un ruolo o in un altro. In particolare viene introdotto il simpatico personaggio del commissario in pensione Biagio Patanè che diverrà figura ricorrente in tutti i libri della serie.
Ma anche la vicenda in sé è gradevole perché ha tutte le caratteristiche della vita reale: non travolgente indagine sulla spinta del potere deduttivo dei poliziotti, ma lento procedere di laboriose attività investigative rese ancor più faticose dall’ignavia del Pubblico Ministero, dalle difficoltà tecniche e dall’intricato viluppo di ipotesi tutte da verificare, scoperte a volte contraddittorie e menzogne che hanno una parvenza di verità.
L’insieme dei personaggi, poi, è ben scelto e caratterizzato, anche se si fa fatica a non ritenere la Guarrasi (e tutto il suo contorno) una sorta di ibridazione di Salvo Montalbano con Lolita Lobosco: troppi i punti di contatto nei caratteri e nelle storie personali sia con il commissario “vigatese”, creato da Camilleri, che con l’omologa barese uscita dalla penna di Gabriella Genisi. Chiudendo gli occhi su questo aspetto, però, l’ambientazione e la caratterizzazione sono gradevoli e ben congegnate.
L’A. dedica molte delle sue pagine a presentarci e descriverci gli attori di quel dramma, attori che diverranno visi noti nel prosieguo della serie. Magari queste pagine, per chi, malauguratamente, ha già fatto la conoscenza delle loro storie, avendo letto qualche romanzo successivo, non risultano particolarmente appaganti, così come si mostrano troppo didascaliche certe descrizioni del mondo catanese. Ragion per cui sarebbe opportuno leggere la serie nel suo ordine d’uscita.
Più che altro, in questo primo romanzo i meccanismi sembrano ancora da oliare e rendere più scorrevoli. Non di rado la narrazione appare impantanarsi e procedere a fatica, così alcuni capitoli risultano più lenti e faticosi di altri mentre l’occhio tende a scappare a fondo pagina, saltando qualche paragrafo.
La storia gialla non è sorprendente e un lettore, dotato di buona intuizione, riesce ad anticipare la poliziotta, costretta a dibattersi nelle pastoie della procedura penale, ma è credibile e ben costruita.
In conclusione, però, si tratta di una lettura piacevole e distensiva.
Conoscendo già altri libri della serie posso dire che questo primo non risulta uno dei migliori ma, tutto sommato, ciò può essere pure un pregio perché contiene la promessa di uno sviluppo narrativo in crescita e la constatazione che l’A., poi, negli anni abbia saputo migliorarsi.