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Caminito. Un aprile del commissario Ricciardi
 
Caminito. Un aprile del commissario Ricciardi 2023-07-10 10:33:20 FrancoAntonio
Voto medio 
 
3.3
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
3.0
Piacevolezza 
 
3.0
FrancoAntonio Opinione inserita da FrancoAntonio    10 Luglio, 2023
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Ricciardi, ma non dovevamo vederci più?

Napoli, aprile 1939, è appena passata Pasqua; un povero professore in pensione, che è andato a raccogliere nespole in un giardino abbandonato, scopre casualmente due giovani dietro a un cespuglio. Sembra che stiano facendo l’amore, invece sono stati entrambi selvaggiamente uccisi.
Il commissario Ricciardi con il fido Maione inizia le indagini, ma entrambi hanno troppi pensieri per la testa per concentrarsi totalmente sulla ricerca dei colpevoli.
Ricciardi, che, a cinque anni dal lutto, non si è ancora ripreso dalla perdita dell’amata Enrica, è preoccupato per la piccola Marta, che cresce benissimo, intelligente e vispa, sotto la materna guida di Bianca, contessa Palmieri di Roccaspina, l’occhiuta sorveglianza di Nelide e gli amorevoli insegnamenti dell’istitutrice Edna Stromillo. Ma lui teme che la bimba abbia ereditato da lui il terribile dono di vedere le ombre dei morti di morte violenta, e, nel contempo, non ha il coraggio di sottoporla alla stessa prova a cui, sua madre, lo costrinse quand’era poco più grande della bimba.
Ad aumentare le angosce dell’uomo, il dott. Modo gli confida di conoscere il ragazzo ucciso e i motivi per i quali potrebbe esser stato ammazzato. Il giovane era un marinaio della marina mercantile che s’era prestato a fare da corriere per le lettere dei deportati al confino a Ventotene, mentre lui, Modo, era il suo referente per Napoli. Insomma, il caro, unico amico di Ricciardi, non pago dei guai che aveva già passato sei anni prima, continua ad agire nell’ombra contro il regime, con il rischio che, questa volta, la condanna al confino sarebbe il male minore. Inoltre, se, come è convinto il dottore, gli assassini fossero proprio uomini dell’OVRA, come ottenere giustizia per i due poveri giovani?
Maione, invece, deve combattere per conservare la custodia di Benedetta, la bimba che si era presa in casa dopo che questa era restata orfana per l’orrendo omicidio dei suoi genitori. Un uomo, che si qualifica come suo zio di ritorno dall’America, vorrebbe prenderla con sé offrendole anche la possibilità di vivere nel lusso. Neanche da dire che ciò causa una dolorosa lacerazione con Lucia, che ormai considera quella ragazzina come sua figlia a tutti gli effetti.

Dopo le delusioni patite leggendo gli ultimi libri della serie che De Giovanni ha dedicato al Commissario Ricciardi (l’uomo che vede i morti), serie che, dopo i fasti dei primi romanzi aveva subito un mesto declino nelle ultime opere, avevo deciso di chiudere definitivamente con l’A.
Tuttavia, visto questo libro in vetrina, hanno prevalso l’innata curiosità e la maligna domandina che mi frullava in testa (“dov’eravamo rimasti?”), così, titubante, ma pure desideroso di scoprire come De Giovanni fosse riuscito a uscire dall’angolo in cui s’era volutamente infilato, avevo acquistato il libro, che, però, era rimasto sul tavolo per mesi, in attesa di essere aperto.
Che dire dell’impressione ricevuta a lettura conclusa? La prima sensazione è quella di trovarsi di fronte alla versione letteraria dei titoli di coda di certi film che danno conto agli spettatori di ciò che è accaduto ai personaggi dopo quanto mostrato nella pellicola, oppure a certi episodi collage delle serie di telefilm che costruiscono un episodio solo incollando assieme spezzoni dei precedenti filmati. Infatti più di un passaggio del libro è dedicato al “riassunto delle puntate precedenti” per spiegare, ricollegare, ricostruire frammenti delle storie e delle vite dei protagonisti. Il grosso della trama, poi, sta proprio nel tentativo di riedificare un edificio parzialmente diruto. La storia gialla non è particolarmente emozionante o intricata: un lettore attento giunge alle conclusioni finali di Ricciardi almeno 150 pagine prima del poliziotto. Tra l’altro la vicenda imita episodi tristemente famosi della cronaca recente, quindi nihil sub sole novi.

Lo stile di De Giovanni non è peggiorato, ci mancherebbe, e la narrazione procede sempre attenta, con esposizioni mai trasandate, anzi, ben costruite, un linguaggio curato e armonioso. Tuttavia si percepisce una qualche mancanza, una certa stanchezza a riproporre situazioni ormai ripetitive e già ampiamente sfruttate.
Le descrizioni del cuore di Napoli, che nei primi libri apparivano dolenti ma appassionate, ora si mostrano solo lamentose e di maniera. Insomma s’è perso quella corrente empatica che si instaurava in precedenza tra autore e lettore.
Per di più mancano quasi totalmente i siparietti comici che squarciavano i velari di mestizia che ammantano in generale le storie di Ricciardi.
Tra l’altro ho notato che questo è il romanzo più politico della serie, è ho avuto la sensazione che l’A. cerchi di caricare certe situazioni del passato a monito per il futuro e l’effetto è stato tutt’altro che gradito.
In conclusione ritengo che il libro non sia minimamente all’altezza dei primi, ma non sia neppure totalmente disprezzabile e, anzi, possa risultare gradito a chi ha poca familiarità con l’A.
Però chi ha amato il primo De Giovanni non si potrà ritenere soddisfatto da questa lettura che tenta di rivitalizzare una serie già estinta nella testa di chi l’ha ideata il quale, forse, l’ha ripresa in mano solo per sollecitazioni editoriali ed economiche.
La cosa che più spiace, a questo punto, è il traino che viene proposto in finale e che fa supporre che a “Caminito” debbano seguire altri romanzi per sviluppare vicende ora solo accennate.

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Consigliato solo a chi non sa resistere, come me, alla curiosità di scoprire cosa ci sia dietro l'angolo...
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