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Sucai & Web-killers
Nel marzo 2013, mentre a Roma si tiene il Conclave che porterà all’elezione di Papa Francesco, il Commissario Vincenzo Arcadipane è alle prese con un brutto caso d’aggressione xenofoba. Una signora, badante colombiana di mezza età, è stata selvaggiamente picchiata in una stazione della metropolitana torinese. Ora è in coma tra la vita e la morte. I rilievi e le testimonianze sembrano confermare che il colpevole sia un giovane con indosso il kimono di una palestra d’arti marziali cittadina e, sul viso, una maschera horror molto comune. Nella sala interrogatori il giovane Luca Apostolo riconosce di aver fatto la bravata di muoversi nella metro con quel travestimento per scommessa con la sua fidanzata, ma rifiuta ogni addebito per l’aggressione. Tutto, però, concorda per inchiodarlo all’accusa.
Arcadipane, nonostante desideri chiudere al più presto l’indagine, ancora non è convinto completamente che le cose siano andate come sembra: c’è qualcosa che al suo istinto di poliziotto, che lui pensa appannato e, invece, è ancora acutissimo, non torna affatto. Si consulterà con il suo amico e mentore Corso Bramard. L’ex commissario più giovane d’Italia gli darà solo pochi suggerimenti, ma questi saranno sufficienti a svelare un complotto a carico di Apostolo e a individuare il vero responsabile dell’accaduto.
Tutto bene, allora? Non proprio, perché, seppure il puzzle dell’indagine sembri perfettamente ricomposto, ad Arcadipane avanza ancora in mano un pezzo che non s’incastra da nessuna parte. Così, con la sua tipica testardaggine meridionale, continuerà a scavare, con l’aiuto (reticente) di Bramard – che, in questo momento, ha ben altri problemi per la testa – di Isa Mancini – la geniale e ribelle agente che, adesso, trasferita alla Stradale di Vercelli, sembra aver trovato un suo equilibrio, e non vorrebbe essere nuovamente coinvolta – e di un surreale individuo, tal Luigi Normandia, un ex poliziotto che sembra tutt’altro che una persona sana di mente.
Quello strambo connubio, alla fine, porterà alla luce un brutale, assurdo “gioco giovanile” nel quale il premio per le morti causate è solo una buona posizione in una insensata classifica priva di scopo pubblicata in un sito del dark-web.
Terzo romanzo dell’accoppiata Bramard-Arcadipane, dove il primo fa solo brevi comparse, quasi da spirito-guida per il sempre più depresso, confuso e scorato Arcadipane il quale deve combattere, più che in passato, con i propri fantasmi e turbamenti interiori.
Come e più del precedente, è proprio l’aggrovigliata psiche del commissario a essere il nucleo attorno al quale si sviluppa la narrazione: Vincenzo, marito ormai allontanato da casa, padre che non riesce a comprendere e parlare ai propri figli, poliziotto che dubita delle proprie capacità, uomo che ha paura della morte perché teme di aver attraversato la vita come una meteora inutile, lotterà comunque, contro tutti, a cominciare da sé stesso in nome del suo innato senso di giustizia. Perché, in fondo lui si danna proprio per le cause perse, per i disperati senza alcun santo in paradiso, i disadattati, come il suo cagnetto Trepet con solo tre zampette. Come lui…
La trama poliziesca è particolarmente arruffata e, forse, al limite della credibilità. Ma la cronaca ci ha mostrato che possono esistere cose ben più assurde, ma purtroppo, tragicamente reali come ci ricorda la follia della “Blue Whale”.
Dopo un avvio abbastanza convenzionale delle indagini, con i classici interrogatori sfiancanti e le perquisizioni di routine, si incanalerà in contorti percorsi che si inoltreranno nel dark-web, in luoghi ove tutto sembra lecito.
Divertente, ma anche tantino inquietante, la figura di Normandia, un uomo che parla più come un predicatore invasato che come un individuo raziocinante. Come al solito credibili e molto umani sia Bramard che Isa. Comunque il giallo resta solo una scusante per analizzare l’animo dell’uomo Arcadipane, disperatamente fragile e contraddittorio (tanto simile a noi, verrebbe da aggiungere), pieno di complessi e ansie che cerca malamente di placare ingollando un sucai dietro l’altro (le caramelline gommose alla liquirizia ricoperte di zucchero). Co-protagonista invisibile, ma onnipresente come una minacciosa ombra di Banquo, quella rabbia giovanile che – anche per colpa delle devianze di questo nostro mondo troppo trasparente e inumano – partorisce piani di assurda ferocia con la stessa banale noncuranza con la quale i ragazzini sterminano alieni nei videogiochi: con insensata indifferenza per il male causato che non viene neppure compreso come tale.
Lo stile di Longo è sempre particolarissimo e, come al solito, può affascinare o risultare indigesto. Talvolta è pedante nelle descrizioni con le varie scene che vengono descritte nel loro svolgersi quasi fotogramma per fotogramma, come in un rallenty. Talaltra sbrigativo al punto da lasciare al lettore il compito di completare nella sua mente il quadro della situazione. Non di rado risulta pesantemente, cinicamente volgare e sgradevole mentre, forse, alcuni concetti, alcuni stati d’animo potrebbero essere resi espliciti in modo meno rozzo, meno infarcito di parolacce. Tuttavia, vista nel suo complesso, la storia non potrebbe essere raccontata in modo differente. Soprattutto perché, così, è innegabile, la narrazione riesce a dar vita a quel nesso empatico con i personaggi che, alla fine, sentiamo pure nostri, come personificazioni ed esternazione dei nostri sentimenti.
In conclusione un ottimo romanzo, forse il migliore di questa prima trilogia grazie principalmente all’umanissimo, tenero, disperato Vincenzo Arcadipane.