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Un cold case, di quelli amari
Al momento, questo è l’ultimo romanzo di Antonio Manzini con protagonista l’ormai notissimo Rocco Schiavone, vicequestore romano in servizio presso la Questura di Aosta, nell’immaginario collettivo oramai identificato con le sembianze inscindibili, assai indovinate in verità, dell’attore Marco Giallini, che presta il suo volto al vicequestore nelle omonime fiction.
Questa volta Manzini, però, non si dilunga particolarmente in ulteriori capitoli centrati sulle dolorose vicissitudini strettamente personali del vicequestore, legate cioè più alla persona che non alla sua professione, che vanno dal rievocare il passato del personaggio, dall’assassinio dell’amatissima moglie Marina, il successivo delitto della compagna del miglior amico di Schiavone, la ricerca del colpevole e traversie varie che, in un certo qual modo, illustrano i trascorsi del personaggio, indugiando sui motivi fondanti dell’amara solitudine, annichilimento e disperazione, che albergano nell’animo sconfortato del vicequestore, ad onta di uno spessore umano di tutto rispetto.
Rocco Schiavone questa volta è chiamato in causa direttamente come segugio investigativo, a proposito di un cold case in puro stile alla “Ossa” di Kathy Reichs, concernente uno dei delitti più odiosi esistenti, una vicenda di quelle amare, toste, miserabili, il brutale assassinio di un bambino di dieci anni, Mirko Sensini, di cui casualmente si rinvengono i poveri resti, dopo anni dalla sua scomparsa. L’investigazione è di quelle toste e difficili, data l’esiguità degli indizi, e tuttavia Antonio Manzini fa procedere il racconto con abilità, a modo suo riscrive e ripresenta il suo personaggio meglio riuscito, questo per Rocco Schiavone diviene così non un giallo da risolvere ma è un’opportunità, Manzini offre a Schiavone un motivo di evoluzione e crescita del personaggio.
Perchè è un delitto che desta troppa rabbia e indignazione in chiunque, ma mai come nel nostro poliziotto, lo spinge a scuotersi, a mettere da parte i suoi demoni personali, a dannarsi, a immergersi in profondità e senza esitare nel fango e nel luridume del mondo della pedofilia, come nessuno mai.
Schiavone non si tira indietro, con caparbia determinazione non lascia nulla di intentato, il suo elementare ma solido senso della giustizia pretende che venga fatta piena luce sulla barbaria avvenuta, ed il colpevole punito come merita. Così Antonio Manzini rivitalizza la sua scrittura ed il suo eroe.
Rocco Schiavone è un personaggio riuscito, per la bravura, il talento e la maestria nel riportarlo sulle pagine del suo creatore, certamente; ma lo è soprattutto perchè è una figura controversa, ed autonoma.
Vive di vita propria ormai, ha una sua precisa, ben identificata personalità, quasi pare si scriva da solo le sue storie. È un apprezzato investigatore, un poliziotto intelligente e di buon senso, dalla moralità però dubbia e non sempre irreprensibile. Perché non è un apostolo della giustizia, è un comune mortale che ha a che fare con le quotidiane brutture ed ingiustizie dell’esistenza, che prova a raddrizzare graduandole, e quindi accomodando il codice a modo suo, in maniera più umana e meno giudiziosa. Non è un giustiziere, solo sa essere comprensivo e tollerante, quanto spietato e irriducibile, solitario e riservato, e altrettanto empatico e di buon cuore. Così ha appreso nel corso della sua esistenza: lui è una guardia, i suoi migliori amici dei delinquenti, tutti nati e vissuti gomito a gomito, e tutti consci che quello che fai non è quello che sei.
Puoi essere guardia e insieme farabutto e delinquente, e un delinquente con una morale onesta meglio di una guardia, dipende sempre dalle persone e dalle circostanze della tua vita. In questo suo essere binario, più nel bene che nel male, sta la sua normalità, e insieme è la chiave del suo successo: non è un paladino della Legge e della giustizia o un supereroe come Capitan America, ma è un uomo buono, altruista e generoso con gli amici e quanti ha vicino, malgrado non gli siano mai stati risparmiati lutti, tradimenti, disillusioni.
Fedele alla purezza di base, semplice quanto autentica, del suo animo che non transige sul Male in quanto tale sugli Innocenti per definizione, segue queste indagini con frenesia, impegno, determinazione, oserei dire con furore, tanto è grande il suo sdegno, e con modi e con l’esempio, guida e si fa seguire spassionatamente dai suoi collaboratori.
Come Michela Gambino della polizia scientifica, valente e accorta professionista quanto persona alquanto singolare, diciamo che sta con uno stato d’animo diffidente e guardingo come una no vax, però non nei confronti dei vaccini, ma delle scie chimiche, degli alieni, dei poteri forti e occulti.
Come Alberto Fumagalli, medico legale serio, esperto e competente, dotato di una vena di fine umorismo, sarcastico e rispettoso insieme davanti alla morte, da lui vista come un evento accidentale che fa parte dell’esistenza, giungendo a mangiare tranquillamente dinanzi ad un cadavere da dissezionare.
Come i componenti della sua squadra, Italo Pierron, travolto dal demone del gioco e debiti conseguenti e però pronto a fare la sua parte; Antonio Scipioni, bravo, coraggioso e audace poliziotto quanto pessimo a gestire una pluralità di rapporti sentimentali con le donne, e poi Ugo Casella, Michele Deruta, Domenico D’Intino, e inoltre i poco regolari ausiliari di polizia acquisiti a forza di sentimenti, come Eugenia ed il suo figliolo, mago dell’informatica meglio degli effettivi della polizia postale. In fondo, per il solingo e solitario Schiavone, tutti costoro, e poi gli amici di infanzia Sebastiano, Furio, Brizio, banditi pluripregiudicati, bravacci e lestofanti, però dotati di un candore, a modo loro una legittimità d’essere, una liceità di agire, una purezza da banda degli onesti, rappresentano la sua famiglia, il suo unico patrimonio di amore, il solo che gli è rimasto.
Rocco Schiavone è, a modo suo, un Capitan America, che ha perso tutto il suo mondo di affetti, compagnie, affezioni: la vita gli ha riservato lutti, disamore, acredine, lui ne è sconsolato; tuttavia, è e rimane uomo di coscienza gentile, sollecito, affettuoso malgrado non voglia mostrarlo e si celi dietro una coltre di fumo. E fumo illegale. Anche uomo saggio, come un buon padre di famiglia; per esempio quello che potrebbe considerare un suo figliolo, come Gabriele, lo lascia andare via incontro al suo futuro, lo spinge e lo incoraggia a lasciarlo, malgrado al poliziotto gli si strazi il cuore, perché il ragazzo viva la sua vita, come è giusto che sia.
Il nostro invece, come figli, magari si farà bastare la cucciolata della sua Lupa.
Volete che ad una persona così, le povere ossa non parlino? Forte e chiaro.
Il piccolo Mirko Sensini riposerà in pace.