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Bartolomeo, Ardelia e il Professore
Nuova avventura per il commissario Bartolomeo Rebaudengo, in pensione, ma non troppo. A coinvolgerlo è l’ormai solo amica Ardelia Spinola: lo chiama dicendogli che ha appena eseguito l’autopsia su una donna che un pescatore ha trovato, cadavere, su una panchina del lungomare, seduta come stesse dormendo. I tre fori di proiettile sul petto non lasciano dubbi sulla causa della sua morte, il movente, però, è assolutamente oscuro. Ardelia pensa che l’acume di Rebaudengo possa aiutare il giovane PM incaricato delle indagini a sbrogliare la matassa. Così Bartolomeo, senza troppo dispiacere, abbandona la sua routine campagnola e incomincia a collaborare con gli inquirenti. Purtroppo gli indizi sono scarsi: la vittima era un’ecologista che s’era battuta in varie campagne per la difesa dell’ambiente, ma, con l’esclusione di un malavitoso ormai fuggito all’estero, in pochi potevano desiderarne la morte.
A un mese da quella scoperta, però, compare un nuovo cadavere, drammaticamente simile a quello della donna: tre fori di pistola a triangolo sul petto. Questo, tuttavia, è uno psicologo con nessuna relazione con la precedente vittima. È stato rinvenuto da un cercatore di funghi in un boschetto in luogo assai distante dal primo ritrovamento. Difficile, comunque, sfuggire alla tentazione di supporre che esista un serial killer in azione. Soprattutto quando si scoprirà che i proiettili cal .22 sono stati sparati dalla medesima arma. Qual è il nesso che unisce le vittime?
È improbabile rimanere delusi da un romanzo di Cristina Rava. La sua prosa, ricercata, senza essere aulica, è piacevolissima da leggere. Talvolta riesce a fare poesia pure descrivendo una situazione, un luogo, un sentimento che, magari, di per sé sarebbe poco poetico.
Altra caratteristica dell’A. è la capacità di innovarsi continuamente. Ci sono scrittori, anche di grande fama e talento, che, una volta azzeccato uno schema narrativo, lo usano e abusano in continuazione, adagiandosi sul cliché come su una comoda poltrona. Dalla Rava, invece, non ci si deve aspettare ma la stessa storia riedita con diversi scenari e protagonisti. Ogni volta cambia impostazione alla narrazione e al tipo di storia che vuole narrare.
In particolare, questo romanzo, raccontanto in terza persona con un po' di obiettivo distacco dai protagonisti, l’ho trovato abbastanza crepuscolare. Tornato Rebaudengo nelle vesti di investigatore principale, le atmosfere si sono nuovamente fatte pacate e molto “piemontesi”, senza i contorcimenti emotivi che imprimeva il carattere ipersensibile e iperattivo del medico legale. Forse la storia è un po’ frammentaria e spezzettata e ciò comporta un coinvolgimento meno marcato nelle vicende. Inoltre ho notato che si dà un peso maggiore al caso poliziesco, mentre in precedenza era maggiormente evidente il desiderio di raccontare la vita, i sentimenti dei personaggi. Ma anche in questo tutti gli attori del dramma sono ben delineati, con le loro contraddizioni, le loro debolezze e le loro ansietà. Abbastanza inaspettato il colpo di scena finale che smonta con abilità ogni ipotesi che il lettore poteva aver fatto in precedenza, anche se, forse, Agatha Christie avrebbe qualcosa da eccepire sull’originalità della scelta.
A mio modesto avviso l’unico capitolo che avrei omesso è l’ultimo, che mi ha ricordato tanto il finale dei film indiani con tutti gli attori che allegramente partecipano a un allegro siparietto di saluto.
In conclusione questo non sarà il più memorabile dei romanzi della Rava, ma resta comunque un ottimo libro ricco di contenuti; da leggere con interesse.
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“Inventare vite diverse, allargare la visione con un grandangolo, diluire i confini della realtà aprendola a dimensioni astratte e senza peso, per lui questo è il mestiere di scrivere”.