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Vedi Napoli e poi muori
Alla morte della madre Peppino e Raffaele vengono separati e Raffaele, il più piccolo dei due fratelli, affidato ai servizi sociali. Da quel momento ognuno segue la propria strada finché un giorno il destino torna ad incrociarle.
Raffaele è diventato parroco della basilica di Santa Maria alla Sanità, lo stesso quartiere dove ha vissuto da piccolo insieme a sua madre a suo fratello e a suo padre, che entrava e usciva di prigione per reati di poco conto.
La Sanità è un «quartiere nato per guarire». La sua posizione , situato alle falde di Capodimonte, e la sua natura incontaminata, una «rigogliosa vegetazione, sorgenti e fonti d’acqua, lo rendeva particolarmente salubre». Era stato anche luogo di miracoli e di guarigioni, e per questo motivo inizialmente accolse importanti famiglie nobiliari e borghesi della città , ma poi col passare del tempo è diventata una delle zone più popolari di Napoli.
La costruzione del lazzaretto e poi della fossa comune per seppellire i morti per la peste, cambiò totalmente le sorti del quartiere. E divenne un quartiere di «morte» e di morti, con le catacombe e il cimitero delle Fontanelle.
«La terra salubre si era trasformata in un immenso cimitero.»
E i poveri presero il posto dei ricchi e s'insediarono nel rione, e con tutte le loro esigenze, aspettarono uno Stato che invece non era presente, dando spazio alla malavita, che almeno dava di che vivere.
Padre Raffaele, ricorda bene quel quartiere, anche se lo ha lasciato da bambino, ma nessuno invece si rammenta di lui, perché Raffaele è stato adottato e ha cambiato cognome.
Tramite anche la sua perpetua, comincia a conoscere tutti i suoi fedeli, e scopre che suo fratello Peppino vive ancora li, che insieme alla moglie aspettano un bambino, e che è diventato il boss del rione. Raffaele e Peppino, due uomini che non potrebbero essere più diversi l’uno dall’altro, il bene e il male. Ma il richiamo del sangue è forte, quasi violento e li unisce ancora, nonostante il vissuto e l'educazione siano così profondamente distanti.
Raffaele ha un carattere docile ma allo stesso tempo irruento, e il legame con quel posto e con la sua famiglia rinvigorisce, e diventa sempre più intenso col passare dei giorni.
In questa «sotto» trama, che già da sola vale un bel romanzo, Anna Vera Viva innesta il suo giallo, Renato Capece, poliziotto corrotto e violento che fa il bello e il cattivo tempo nel quartiere, viene ucciso. La curiosità di Padre Raffaele e la paura, che suo fratello possa essere coinvolto in questo omicidio, saranno la sua forza e lo aiuteranno a svelare il colpevole.
Ma come accennato il giallo è solo un pretesto della scrittrice per raccontare la sua Napoli, e la sua maestria sta proprio nel modo di raccontarla. Anna Vera Viva riesce a farcela «sentire» , i suoni, i rumori, i volti, la luce sono così vivi da rapire il lettore. Per non parlare della gente che descrive, intrisa di umanità e solidarietà e di un bisogno, che sono così veri da percepirli reali come in effetti sono, una palese denuncia di una società abbandonata a se stessa, e che si arrangia come può.
L'autrice racconta quello che vede di una Napoli sua solo d'adozione, ma l'orgoglio e il risentimento sono gli stessi di chi a Napoli è nato e cresciuto e la ama nonostante tutto. Un'analisi obiettiva di una città bella con tutte le sue contraddizioni e che per vederla veramente occorre guardarla con altri occhi, e andare oltre i luoghi comuni di pizza sole e mandolino, squarciando quel velo solo apparentemente omertoso, che poi invece si rivela solidale, (sempre pronto a offrire aiuto a chi ne ha più bisogno), e ribelle a un destino invece a volte ineluttabile.