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Il parroco delle anime
Avvicinarsi a un romanzo quale quello di Anna Vera Viva significa tuffarsi in una realtà del napoletano ben diversa da quella che generalmente siamo soliti immaginare, anche e a seguito, dei tanti racconti o aneddoti che siamo soliti ascoltare e/o leggere. Salentina d’origine, napoletana d’adozione, la romanziera ci prende per mano e accompagna per le strade del Rione Sanità in un mix e caleidoscopio di immagini e ritratti che sono delineati senza grande e troppa difficoltà tra le pagine.
In “Questioni di sangue” quel che maggiormente emerge non sono però solo e soltanto le descrizioni e i destini opposti che vivono per cause anche di forza maggiore i fratelli Peppino e Raffaele Annunziata, tra rivalità e ricongiungimento, ma anche il carattere introspettivo. E sia chiaro, le storie prendono forma e si snodano ma il vero protagonista è e resta il Rione. Perché il Rione è l’affresco di una Napoli scomoda ma che non lascia scampo. È un luogo dove essere poveri è una condanna, un destino già scritto, un fare che già ha preso i suoi connotati, un luogo dove la criminalità prende sempre più spessore perché è l’unica vera strada percorribile. E cosa fare, se non cadere preda e vittima di questa, per non cadere nuovamente preda e vittima della legge del più forte che piega e spezza senza remora alcuna? Sei una pedina e come tale devi eseguire quel che ti viene detto e imposto altrimenti, sarà peggio per te.
Ed ecco che Don Raffaele Annunziata torna tra quelle vie con un altro nome, prende possesso della chiesa del quartiere, scopre un mondo che sa essere simile ad altri, che può essere riconosciuto ma che al contempo è molto lontano e sconosciuto. C’è quel qualcosa che torna alla memoria, che fa rivivere un passato che nella narrazione “se la gioca” con il presente. Peppino si sente attratto da quel prelato misterioso quanto fastidioso e amichevole. Nel momento in cui prenderà forma un omicidio nella verità della quotidianità sarà proprio il parroco a doversi cimentare nello scoprire una verità che si sedimenta nelle anime dei fedeli.
«Quarant’anni erano trascorsi, un tempo lunghissimo, in cui aveva creduto che i fantasmi del passato non sarebbero ricomparsi. Ma ora, tornando a Napoli, nel suo vecchio quartiere, si sarebbe trovato di fronte a scelte che pensava di non dover affrontare mai più.»
Partiamo dal presupposto che “Questione di sangue” non è solo un giallo. È anche un giallo. Ma, prima di tutto, è un affresco. L’affresco di una Napoli che viene ricostruita per mezzo dei suoi abitanti e per mezzo delle ombre che la popolano. Il testo ha molto di una sceneggiatura, ricorda a tratti anche il tipico giallo all’inglese mixato alla realtà del paesino in cui tutti sanno, tutti ascoltano, tutti osservano tutti ma nessuno parla, ha visto o sentito. Il Rione sembra parlare da solo, con i suoi connotati, pregi e difetti. Nulla e nessuno tra queste pagine è controfigura. Ciascuno ha un suo ruolo, un suo essere determinante. La prospettiva muta e cambia, si alterna e sussegue.
Il risultato è quello di un romanzo che ha tanto da dire e che ci trasmette una profonda e interminabile voglia di riscatto. Tra vittime e carnefici che non sono mai completamente vittime e mai completamente carnefici. Tra donne e uomini che cadono e si rialzano, che sono schiacciati da una realtà più grande di loro ma che vanno avanti.
A tutto si somma uno stile rapido, fluido e fluente, che accarezza il lettore e lo conduce per mano con un ritmo narrativo ben cadenzato e la giusta dose di colpi di scena. Perché qui ad essere protagonista è prima di tutto la vita, la persona intesa come essere vivente con i suoi pregi, difetti, cadute e paure. La persona e il contesto sociale in cui cresce e nasce, in cui combatte e va avanti giorno dopo giorno.
Un romanzo adatto a chi non si ferma alla superficie ma cerca e desidera anche altro e soprattutto a chi desidera interrogarsi sull’animo umano con tutte le sue luci e ombre.
«La vita differente che avevano affrontato li aveva costruiti in forme opposte, seppure con gli stessi mattoni… L’uno immagine speculare dell’altro, quasi banali nel loro essere il bianco ed il nero, il bene ed il male.»
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