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Di punto in bianco
 
Di punto in bianco 2022-08-21 14:05:55 FrancoAntonio
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FrancoAntonio Opinione inserita da FrancoAntonio    21 Agosto, 2022
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Bagna cauda negata per Rebaudengo

Bartolomeo Rebaudengo, ormai commissario di P.S. in pensione, si sta godendo la tranquillità e la solitudine delle sue Langhe nella bella casa che gli ha lasciato una ricchissima prozia, quando, durante una rimpatriata con i vecchi amici di gioventù, viene a conoscenza della scomparsa del giovane Dario Colombero. Si tratta di un bravo ragazzo, ottimo studente, senza grilli per la testa, forse solo un po’ musone e con un labile sospetto di omosessualità, ma nulla che faccia pensare a cose strane. Però, il ragazzo, tutto casa e università, è irreperibile da troppe ore e Bartolomeo consiglia di far sporgere denuncia ai Carabinieri. Quasi inevitabilmente lui si trova coinvolto nelle ricerche dal comandante di zona, il maggiore Bertone, amico di vecchia data del Commissario. Ormai s’è fatto la fama del grande esperto, del profiler addestrato in America e gli viene chiesto di contribuire alle ricerche. Purtroppo queste, dopo parecchi giorni, portano all’esito peggiore: Dario è ritrovato in aperta campagna, completamente nudo e morto da giorni per cause non identificate. Una serie di circostanze totalmente fortuite, poi, fa sì che a occuparsi dell’autopsia sia la dott. Ardelia Spinola, ex fidanzata di Bartolomeo e accanita investigatrice per irrefrenabile inclinazione d'animo. Si ricostituisce così la formidabile coppia che aveva concluso felicemente molti intricati casi in quel di Albenga. Che sia pure l’occasione per ricostruire il rapporto tra i due che si era lentamente sbriciolato? Certo che sono passati anni dalla fine della loro storia, molta acqua è passata sotto i ponti, ed entrambi (Ardelia soprattutto) hanno ferite ancora da rimarginare.

La prosa di Cristina Rava è una garanzia, difficilmente il risultato è men che lodevole. Inoltre è sorprendente come l’A. riesca a stupire il lettore affezionato mutando continuamente la struttura dei suoi romanzi, senza fossilizzarsi su schemi, magari vincenti, ma già troppe volte sfruttati. Il questo romanzo la storia torna a essere narrata in terza persona e il protagonista principale è nuovamente il simpatico e bonario commissario “sabaudo” che aveva dato inizio alla serie tanti anni fa. Lo troviamo invecchiato e pieno di malinconie, ma ancora pimpante e ricco di spunti. Soprattutto nei primi capitoli ho percepito, però, una sorta di pudore a maneggiare il suo personaggio e, quando farà la comparsa, pure quello di Ardelia. Pare quasi che l’A. abbia una forma di ritegno nel raccontare la loro storia, pentita delle traversie che ha fatto loro subire: lei troppo “stropicciata” e bistrattata nello spirito e nel corpo durante le precedenti avventure (interne ed esterne alle pagine scritte); lui, al contrario, troppo negletto e trascurato in tutti i libri in cui era protagonista la sola Ardelia, ove lui compariva in lontananza, come pallida ombra anonima, una sorta di kofon prosopon da tragedia greca.
La storia prende quota quando finalmente possiamo goderci i dialoghi e i battibecchi tra Bartolomeo e Ardelia, sintomo che è l’interagire di questi due personaggi a dare vivacità e concretezza al narrato. I primi capitoli, privati pure dei simpatici ed empatici mugugni e soliloqui della dottoressa, sono pervasi troppo da una mesta pacatezza e da una riservatezza che sarà pure “sabauda”, ma mortifica lo slancio emotivo verso i fatti riferiti.
La storia, di per sé, è non è particolarmente intricata, ma non sarebbe neppure nello stile della Rava. Tra l’altro, come nel romanzo che precede questo, non fa mai mistero su chi sia l’autore del crimine o su quali siano i suoi moventi. Restano solo ombre parziali sul modus operandi o sulle circostanze collaterali, però nulla di essenziale, poiché lo scopo del romanzo non è fornire elementi per un enigma, ma di raccontare la vita delle persone, che è, in parte, pure la nostra. Piuttosto, è oltremodo apprezzabile il fatto che la vicenda appaia subito come straordinariamente concreta e reale, come metta in risalto la banalità del male, che non ha bisogno di intricati meccanismi o astruse premeditazioni per manifestarsi. La vita, ahimè, non ha bisogno di assurde complicazioni per complicarci l’esistenza.
Le vicende personali dei protagonisti, invece, sono legate in modo indissolubile agli antefatti narrati in precedenza, quindi, probabilmente, l’intera storia può essere piacevolmente (appieno) apprezzata solo da chi abbia già una buona familiarità con le loro storie e ciò, forse più di ogni altra considerazione, relega il romanzo alla cerchia di adepti che hanno frequentato in passato assiduamente i caruggi di Albenga e le colline del basso Piemonte assieme a Bartolomeo e Ardelia. Per il resto, il livello della narrazione, delle descrizioni, la poesia di certe frasi e considerazioni, sono di livello assoluto, come al solito. Insomma, un buon libro, come c’è da aspettarsi da questa brava e sensibile scrittrice.

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