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Anna e il geco mitomane
Ines, una donna di sessantasei anni con molti problemi di salute, è stata trovata morta a casa sua. Tutto fa pensare che sia stata vittima di una rapina finita male: da tempo un gruppo di malviventi penetra nelle case degli anziani, li spaventa con minacce, li imbavaglia e li immobilizza alle sedie per depredarli. Però Ines aveva problemi respiratori, così gli stretti legacci e il bavaglio l’hanno soffocata.
Lucia Calici, nipote di Ines, però non è convinta: a suo dire ci sarebbero troppe incongruenze che differenziano l’aggressione a sua zia rispetto dalle altre. Così, mesi dopo il fattaccio, interpella Anna Melissari perché indaghi sul caso assieme al suo capo, l’investigatore privato Giovanni Cantoni.
Ma non è un buon momento per Anna: Alessandro, il marito, è lontano per lavoro e lei è totalmente impreparata a gestire la casa da sola; il padre è consumato dalle terapie antitumorali; Lavinia, la sorella avvocato, la subissa di continue richieste pretestuose; pure il figlioletto Luca è più bizzoso del solito e sembra avere problemi all’asilo. Come portare avanti le indagini se ogni momento utile sembra già essere prenotato da altri impegni?
A complicare le cose l’unico possibile “testimone oculare”, il geco Giasoneh (la “acca” finale è per i fan!), che vive nella casa di Ines, è un esaltato mitomane che si accusa del delitto e lo descrive come una truculenta mattanza da lui compiuta in un raptus omicida.
Terzo, atteso episodio delle esilaranti avventure di Anna, la strana signora che, per colpa di una misteriosa “macchiolina” rilevata in una TAC, ha la fortuna (o la sventura?) di poter dialogare con piante e animali. Nel suo stile consueto, un po’affannato e un po’ schizoide, Anna torna a farci partecipi della sua vita di casalinga che lavora e che è subissata da impegni, goffaggini, sensi di colpa, presunte inadeguatezze, paranoie continue.
Il romanzo, complessivamente, risulta gradevole, a tratti addirittura irresistibilmente comico, e lo stile, vivace e brioso (talvolta scanzonato), aiuta a leggerlo con facilità. La storia poliziesca, in sé non particolarmente involuta, è credibile e, anzi, tristemente plausibile e attira la nostra attenzione sui complicati, conflittuali rapporti tra le persone che spesso si avvitano in una inarrestabile spirale di odi e ritorsioni meschine, talvolta cagionati da innocenti, ma inopportuni gesti d’affetto e protezione.
L’idea di base su cui si basa la serie, poi, si conferma geniale: far parlare gli animali – i quali possono sbatterci in faccia la realtà delle nostre azioni a volte innegabilmente assurde – aiuta a effettuare un esame di coscienza collettivo senza pudori o eufemismi. I dialoghi tra umani (ma soprattutto quelli “bestiali”) sono frizzanti e spassosi, ma pure profondi e meditati con considerazioni che a volte sono come vere mazzate ai nostri scudi auto-assolutori.
Tutto bene, quindi? Sì e no. Ora che siamo giunti al terzo romanzo ci si aspetterebbe forse qualcosina in più; una evoluzione nella narrazione e nei personaggi. Invece sembra che l’A., per venire incontro alle aspettative dei lettori che hanno favorevolmente accolto i precedenti volumi, tenda a strafare (solo) nelle situazioni più comiche. Molte situazioni paiono esasperate alla mera ricerca della battuta burlesca (a volte quasi clownesca). Anna s’è trasformata in una casalinga sull’orlo di una crisi di nervi (anzi di più d’una). Ma la sua assoluta goffaggine e le sue paranoie e preoccupazioni, dopo un po’, invece di intenerire, irritano per la loro eccessività. Il rapporto donna-animali, che nelle precedenti storie aveva quasi il sentore di una divertente e imprevedibile condanna, ora ha raggiunto punte surreali di un’Alice nel Paese delle meraviglie che dialoga con conigli bianchi (nella specie un esemplare con le orecchie cadenti di nome Tucidide), gatti vegani, gang di gazze e ratti di fogna in guerra tra loro, rane toro psicanaliste e erbacce filosofe, senza che l’assurdità della situazione sia più sottolineata.
Non si può negare che alcune situazioni siano davvero comiche, come i battibecchi “coniugali” di una coppia di Agapornis (i pappagallini “inseparabili”) che invece di amarsi teneramente si detestano come una coppia in attesa di divorzio; o le acide frecciate lanciate da Tarta e Rughina; le pulsioni “adolescenziali” del ficus casalingo o, infine, gli scambi di battute, stile agenti del Secret Service ma "sciroccati", dei dobermann di uno dei protagonisti. Alla lunga, però, tutto sembra un po’ forzato, la facezia solo fine a sé stessa non soddisfa sempre; molti topos e tormentoni comici sono sfruttati eccessivamente.
In conclusione il romanzo è una lettura fresca e divertente, ma si sente la necessità di un cambio di marcia per dare un senso alla prosecuzione di questa serie di storie, sicuramente innovative e spiritose, che fa piacere leggere, ma che non possono reiterarsi ancora molto utilizzando il medesimo meccanismo che, alla lunga, rischia di logorarsi.